Coronavirus? Su le maschere!

L’industria della moda si è messa al servizio della comunità durante l’emergenza sanitaria: in Umbria si creano protezioni e presidi sanitari che coniugano qualità, innovazione e creatività
Le mascherine sono ormai un accessorio irrinunciabile: stilisti e aziende si convertono per creare protezioni personalizzate e sostenibili. A Spello un prototipo riutilizzabile e riciclabile

Fili, tessuti e fantasia al servizio della comunità. Anche in Umbria l’attività nei laboratori di moda continua alacremente nonostante il lockdown. Non per mettere a punto le prossime collezioni, ma per disegnare e produrre quello che ormai è considerato un bene di prima necessità: le mascherine.

«Ho iniziato a cucire le protezioni per regalarle ad amici e parenti – racconta Fiorella Candeliere, proprietaria dell’atelier “La belle époque” a Porta Pesa, Perugia – e sono andate a ruba. E con il negozio chiuso ho pensato di commercializzarle, a 5 euro l’una, ma non certo a scopo di lucro: è l’unico modo per far sopravvivere la mia attività in questi tempi incerti».

L’obiettivo della stilista è dare una mano a tutti i suoi clienti, anche i più piccoli. «Utilizzo cotone di qualità, elastici di prima scelta e prediligo fantasie allegre. In questo momento – spiega Fiorella – è importante regalare un po’ di gioia, soprattutto ai bambini, che vivono male le imposizioni. Allora ecco i disegni di supereroi e personaggi dei cartoni. Così anche la mascherina diventa un gioco».

Anche Ilenia Votini, stilista e proprietaria di Spazio Vintage, a via della Pallotta, Perugia, si è dedicata a confezionare mascherine. Ha cominciato ad usare il tessuto avanzato dalla lavorazione degli abiti per realizzarle, donandole agli acquirenti in abbinamento ai vestiti. Un’idea che fa il giro del mondo, perché oltre che a Perugia le sue creazioni vengono spedite anche a Miami. «Le mascherine non sono certo un accessorio che amo – commenta Ilaria – ma dovremo portarle ancora per un po’ di mesi, quindi perché non renderle fashion?».

Ilenia Votini racconta: “Nella mia nuova collezione, mascherine abbinate agli abiti”

Anche le aziende hanno dato il proprio contributo, riconvertendo la produzione abituale in favore di quella delle protezioni sanitarie. Per chi già lavorava  nel tessile non si è trattato di un investimento cospicuo a livello economico, dato che si era già in possesso di materiali e attrezzature, ma di un impegno a livello organizzativo: le restrizioni hanno imposto una riorganizzazione dei turni e l’introduzione di protocolli ad hoc per garantire la sanificazione di ambienti e la sicurezza del personale addetto.

La Anastasis di Città di Castello, dal 1999 produce borse e shopper in tessuto non tessuto (TNT), e in queste settimane ha riconvertito la fabbrica per creare presidi sanitari da destinare al personale sanitario, come gambali, camici, cuffie per capelli e maschere di protezione. «È tutta beneficenza: i nostri prodotti – spiega il proprietario Marcello Marini – sono per il reparto Covid dell’ospedale di Città di Castello, per le forze dell’ordine e i medici di base del comune». L’attività viene diversificata: «La linea di produzione non è unica, quindi non  possiamo creare contemporaneamente più di un tipo di prodotto. Il giorno che produciamo gambali possiamo realizzarne fino a 700 paia, quando facciamo le cuffie si arriva a 2mila unità, e per i camici arriviamo poco sopra i 250».

La riconversione spesso richiede uno sforzo collettivo: con l’ausilio di Confindustria Umbria, tre aziende tessili, Roscini Atelier-Pattern di Spello, Badiali Cashmere di Foligno e Confezioni Gap di Città di Castello, hanno unito le forze per produrre mascherine da destinare a farmacie, commercianti e clienti. E proprio dall’azienda di Spello arriva l’innovazione: un nuovo prototipo di mascherina, la E-Mask, riutilizzabile e riciclabile. «Abbiamo scelto di usare un tessuto lavabile – spiega Luca Sburlati, amministratore delegato del gruppo – e inserire un filtro sostituibile per garantire un basso costo, meno di un euro a utilizzo». La E-Mask, frutto degli studi dei laboratori di Spello e Torino, e già certificata dal Politecnico di Milano, è entrata in produzione lunedì 4 maggio.

I big della moda non sono da meno: anche Prada che ha riconvertito il proprio stabilimento di Torgiano, Perugia, per la produzione di dispositivi di protezione individuale e camici al personale sanitario dell’ospedale. La storica maison Luisa Spagnoli invece si è prodigata per far giungere fondi, mascherine e camici all’ospedale del capoluogo, il Santa Maria della Misericordia. Inoltre il logo che campeggia sull’azienda a Perugia è stato illuminato con i colori della bandiera italiana: «Un messaggio di speranza – scrive Nicoletta Spagnoli, presidente e amministratrice delegata – che parte da Perugia per abbracciare l’Italia intera».

Il logo dello stabilimento Luisa Spagnoli di Perugia, illuminato col tricolore

Autore

Valentina Celi

Nata a Catanzaro il 01/06/1989. Laureata in Relazioni Internazionali presso La Sapienza di Roma. Giornalista praticante del XIV Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.