Capaci 28 anni dopo, parla il figlio del caposcorta di Falcone: «Non un giorno di lutto, onoro la scelta di mio padre»

Giovanni Montinaro, figlio di Antonio, ucciso nella strage del 23 maggio 1992: «Per me è quasi come se fosse una festa, il difficile è la lotta alla mafia nella vita di tutti i giorni»
Da quindici anni, insieme a sua madre Tina, gira le scuole di tutta Italia per raccontare la storia della propria famiglia: «C’è ancora tanto lavoro da fare contro alcuni fenomeni criminali»

Giovanni è nato a Palermo. È un ragazzo come tanti altri, lavora nell’amministrazione pubblica e la sera, magari, esce con gli amici per una birra. La sua, però, è una storia particolare. Giovanni, di cognome, fa Montinaro: è il figlio di Antonio, caposcorta del giudice Giovanni Falcone. Con lui, con la moglie Francesca Morvillo e con gli altri due agenti della scorta, Vito Schifani e Rocco Dicillo, morì nella strage di Capaci il 23 maggio 1992. All’epoca Giovanni non aveva neanche due anni: «Non ho ricordi né di mio padre né di quel giorno, ho capito chi fosse un po’ più tardi – ci racconta – quando avevo quattro o cinque anni: sapevo che non era più fra noi perché faceva un lavoro particolare, che non tutti volevano fare». Sorriso smagliante, Giovanni si chiama così per un motivo ben preciso: «Mio padre venerava il dottor Falcone e, per onorarlo, ha deciso di chiamarmi come lui. Lo riteneva un uomo indispensabile per la collettività».

Sia Giovanni che sua madre Tina, da ormai quindici anni, girano l’Italia perché non si perda né la memoria né il ricordo di quello che è stato: «Tutto nasce da un’esigenza familiare, quella di ricordare gli uomini delle scorte, ai quali spesso non si dà l’importanza che meritano. Una cosa che ci sta dando tante soddisfazioni – aggiunge – è il corso che proponiamo agli allievi delle scuole di polizia: vogliamo spiegare loro cosa significa il lavoro di scorta». Riescono a tirare fuori il meglio anche da un momento difficile come questo. «La pandemia ha portato a una svolta nel nostro percorso – racconta Giovanni – permettendoci di passare dagli incontri in presenza a quelli multimediali: in questo modo riusciamo a fare anche più conferenze nello stesso giorno e in diverse parti d’Italia, cosa che prima non era possibile».

Oggi ricorre il ventottesimo anniversario della strage di Capaci, un giorno che Giovanni vive con serenità: «Io devo onorare le scelte di mio padre, che rispetto. Non posso permettere né a me né a nessun altro di vivere questo giorno come un lutto: so che può sembrare strano, ma per me è quasi come se fosse una festa. Il difficile viene negli altri giorni». In che senso? «Perché è nella quotidianità che emergono determinate mancanze: io penso che si possa fare ancora molto contro determinati tipi di criminalità, come ad esempio quella dei cosiddetti “colletti bianchi”. È lì che lo Stato deve agire».

Ma quand’è che Giovanni ha capito, davvero, chi fosse suo padre? «Quando ho iniziato le elementari, poi – prosegue – mi sono reso conto che era una persona davvero speciale. Ricordo le parole che diceva mia madre ogni volta che qualcuno dimostrava una certa affezione nei nostri confronti: “Tutto questo è per tuo padre”». E ancora oggi, Tina e Giovanni girano i quartieri più degradati di Palermo per raccontare quello che è stato: «Nessuno deve essere lasciato indietro: sono del parere che mio padre, così come il dottor Falcone, così come il dottor Borsellino, così come Rocco Dicillo, così come Vito Schifani avevano a cuore tutti i cittadini onesti».

Autore

Francesco La Luna

Nato a Cosenza il 30/08/1993. Laureato in Lettere Classiche all'Università della Calabria con una tesi sul giornalismo di Vincenzo Padula. Giornalista Praticante del XIV Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.