Fuseum, il diamante nascosto di Monte Malbe

Dal Parlamento di lampadine alle bocce acquatiche: alla scoperta del parco-museo dell'artista Brajo Fuso a Perugia
Tiziana Cavallucci ne ha curato il restauro: «È come un giardino magico: protagonisti delle opere i materiali degli ultimi»

Ai piedi di una collina, poco sopra Perugia, c’è un posto dove l’arte si esprime nascosta tra le fronde degli alberi. Definirlo un museo sarebbe riduttivo, perché ospita uno zoo, un parlamento, una piazza animata da musicisti e un campo di bocce acquatico. Ecco perché il Fuseum, del museo ha soltanto conservato la desinenza. Il nome deriva dal suo creatore, l’artista perugino Brajo Fuso, che nel 1960 decise di dare vita al primo parco di arte contemporanea di sempre, una galleria espositiva «en plein air» delle sue sculture e installazioni, visitata oggi da decine di appassionati ogni domenica.

Gli Antropomorfi

Viaggio nel parco – Entrando al Fuseum il visitatore si imbatte subito in una foresta di sculture. La strada è segnata da un pavimento di pietre unito a rottami e ferraglia e costellato da una moltitudine di cocci colorati, che ricordano le decorazioni del Parc Guell di Gaudì a Barcellona. Aguzzando la vista sono tanti i dettagli che si possono notare, come le vecchie protesi dentali dei pazienti di Brajo, che l’artista ha incastonato nel terreno. Centro del Fuseum è una piazza, dove dei vecchi serbatoi di moto danno vita ad alcuni musicisti antropomorfi. Poco più avanti, alcuni atleti fatti di cemento armato, materiale tutt’altro che elastico e sportivo, si esibiscono in diverse discipline. Lamiere di ferro, vecchi elettrodomestici e sanitari sono giraffe, aironi, fenicotteri all’interno del Brajzoo. A riempire il “Parlamento” sono delle lampadine che hanno appena “eletto” un governo, dove ogni ministro corrisponde, satiricamente, a un animale. Alcune installazioni erano state pensate anche per essere interattive: «I visitatori si imbattono in questa bilancia – ci spiega Tiziana Cavallucci, storica dell’arte – ci salgono sopra, ma uno spruzzo d’acqua viene schizzato dal basso e li bagna». Immerso nel verde di Monte Malbe, il Fuseum resta ancora per molti un luogo da scovare: «Preferiamo – confessa il direttore
Gianmaria Fontana di Sacculmino – che le persone scoprano questo posto per conto loro, imparando a conoscere Brajo e la sua visione unica dell’arte, rimasta legata a questo territorio».

L’artista perugino Brajo Fuso

Il matto di Monte Malbe – Era questo l’appellativo che i perugini avevano dato a Brajo. «Matto», «folle», aggettivi spesso accostati, almeno in un primo momento, ad artisti visionari e anticonvenzionali che, come lui, intendevano uscire dagli schemi. Nato nel 1899 a Perugia, Brajo diventa un medico, specializzato in odontoiatria. L’arte lo chiama dopo il suo ritorno, ferito, dalla campagna di Grecia del 1940. Un’attrazione che scaturisce da sua moglie, Bettina, pittrice già affermata, la prima a credere nel suo genio. Nel 1943 comincia la sua attività artistica e nel ’60 acquista un terreno sulla collina di Monte Malbe e inizia a costruire il Fuseum, dove vivrà fino alla sua morte, nel 1980. Opere e costruzioni di piccole dimensioni, anche quadri, dove sperimenta tecniche nuove come il dripping (colature di pittura direttamente sulla tela), che sarà associato in seguito all’americano Jackson Pollock. Per realizzare le sue composizioni e le installazioni esterne si affida, in pieno stile Arte povera, a materiali industriali di scarto, detriti e anche ad oggetti improbabili come tubi di plastica, cocci rotti o mozziconi di sigaretta. Tutto può essere impiegato per fare arte, anche i rottami.

Il “Parlamento” del Fuseum

Débris Art – «Arte dei rottami»: così l’artista francese, André Verdet, battezzò le opere di Brajo Fuso. Il perugino rinveniva oggetti già scartati, selezionandoli con cura per poi adattarli e inserirli nelle sue composizioni. «Se gli serviva un imbuto, lui lo schiacciava e lo incastrava nel quadro, faceva così con tutti gli oggetti che sceglieva», racconta ancora Fontana di Sacculmino. «Sono stati diversi gli ospiti illustri – ricorda – che hanno avuto modo di ammirare il museo: dallo scrittore Alberto Moravia ai pittori Renato Guttuso e Felice Casorati». Frequentatore del museo e amico di Brajo era anche il critico d’arte Giulio Carlo Argan, che del perugino diceva: «È incredibile presupporre che avesse una vita sola».

Un giardino magico – Rimasto abbandonato alla natura per anni senza manutenzione, il parco è stato ripulito e restaurato tra il 2010 e il 2011. A guidare il recupero Tiziana Cavallucci, che prima di quel momento aveva conosciuto Brajo soltanto sui libri. «Avevo studiato la sua vita, ma lavorare ed entrare a contatto con le sue opere è stato meraviglioso» – ammette Cavallucci. «Poter lavorare lì dentro – racconta – è qualcosa di magico. Ho sempre ammirato Brajo per la sua arte, ma anche per il suo coraggio: ha comprato un terreno in una zona per ricchi e ci ha costruito il Fuseum, rendendo protagonisti i materiali degli ultimi, in un momento in cui tutti consumavano, ma nessuno parlava di riciclo di rifiuti».

Autore

Michele Carniani

Nato a Firenze nel 1999, laureato in Scienze Politiche, studi internazionali, presso l'Università di Firenze. Executive Master in giornalismo,“Scrivere e fare giornalismo oggi: il metodo Corriere", presso RcS Academy. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.