Possono bastare pochi secondi per stravolgere decine di migliaia di vite, sbriciolare quelle che erano le loro certezze, la loro quotidianità. La scossa del 30 ottobre 2016, magnitudo 6.5, è stata la più forte mai registrata in Italia dal terremoto del 1980, in Irpinia. L’epicentro si trovava a pochi chilometri da Norcia, in una terra appena colpita due mesi prima da un altro sisma, quello di Amatrice, che aveva portato morte e distruzione. Ma se bastano pochi secondi per distruggere, perché quasi otto anni non sono stati sufficienti per ricostruire?
Otto anni dopo – Norcia, e non è la sola, non si è mai ripresa da quel giorno. I luoghi della vita sociale non sono ancora stati recuperati: restano chiuse le porte del Museo della Castellina, rimangono spenti i proiettori del Cinema Impero, il teatro comunale è sotto restauro, mancano palestre e impianti sportivi. Dopo quasi otto anni di incertezze, la comunità nursina è a pezzi e la situazione scolastica riflette questa condizione.
Una mancanza per i ragazzi – L’Istituto Omnicomprensivo De Gasperi-Battaglia ospita oggi scuola materna, elementari, medie, licei e istituti tecnici. Le scuole dell’obbligo e le superiori si trovano tuttora nei prefabbricati, in zone sicure rispetto alla faglia. Tanto è andato perduto, come ricorda l’ex professoressa Rosa Marini, in pensione dal 2023, che al Battaglia ha vissuto il terremoto e la pandemia: «La biblioteca, i laboratori di fisica e di chimica, le attrezzature di geometria, tutto è rimasto inutilizzato. La scuola ha cercato di fare tanto. A Norcia non c’è più un luogo di socializzazione in cui i ragazzi possano ritrovarsi».
Vivere nell’incertezza – Claustrofobia, senso di oppressione, i banchi uno sopra l’altro perché lo spazio non è abbastanza. Andare a scuola in un container è un’esperienza che ti lascia il segno. «È stato esasperante, – ricorda la professoressa Marini – avevamo la sala insegnanti in quella che prima era una lavanderia. Una stanza piccolissima, neanche dieci metri quadrati, con gli attacchi per le lavatrici. I prefabbricati sono arrivati nel 2018 – prosegue – e ci siamo rimasti in attesa che il progetto del nuovo polo scolastico venisse realizzato». Poi nel 2020 è arrivato il Covid: «La didattica a distanza – spiega la docente – ha contribuito ancora di più a rafforzare l’isolamento già portato dal terremoto, riducendo ulteriormente le possibilità di aggregazione e di socialità per i ragazzi».
Fare i conti con la realtà – Accettare, elaborare un dramma che stravolge la vita di un’intera comunità richiede tempo e forza. I ragazzi del liceo classico Battaglia-De Gasperi lo hanno fatto a modo loro. «Prima del sisma del 30 ottobre – racconta la prof. Marini – ci eravamo iscritti a un concorso teatrale nazionale per le scuole». «Con i ragazzi avevamo un gruppo Whatsapp – prosegue – e, dal momento della scossa alla riapertura della scuola, nei container, ci siamo sentiti lì». Ognuno racconta come sta, tenendo aggiornati gli altri. Chi sta in macchina, chi nei prefabbricati, chi ha lasciato la città. A tutti, però, manca la scuola e quella quotidianità spezzata. «Allora ci è venuta un’idea, – ricorda la prof – abbiamo iniziato a raccogliere i messaggi per creare un dialogo, che sarebbe stato il nostro copione. Siamo riusciti a completare il lavoro in tempo e lo abbiamo inviato. Alcuni mesi dopo, durante una lezione nei container, si presentano due inviati del ministero e ci comunicano che avevamo vinto la competizione. La gioia è stata tanta da far dimenticare, per un momento, il dolore e le perdite causate dal terremoto».