I cinghiali dilagano in Umbria: è scontro sulla caccia come soluzione

Invase le campagne, crescono anche gli avvistamenti in città: si riaccende il dibattito tra ambientalisti e cacciatori sull'attività venatoria
Una nuova emergenza per agricoltori e allevatori umbri, l'ISPRA: in Italia danni alle imprese per 120 milioni di euro in sei anni

Dai centri urbani ai campi coltivati, i cinghiali in Umbria si spingono anche al di fuori delle aree protette: le incursioni nelle città sono sempre più frequenti. Coldiretti ha lanciato per prima l’allarme, condiviso anche da ambientalisti e cacciatori: è un’emergenza per l’economia e per la pubblica sicurezza. Rimane aperto, però, il dibattito sulle possibili soluzioni. L’ultimo studio dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), pubblicato nello scorso gennaio, ha registrato un aumento del 45% in relazione all’abbattimento dei cinghiali nel periodo 2015-21, con circa 300.000 esemplari uccisi ogni anno. A essere cresciuti, però, sono stati anche i danni all’agricoltura. ISPRA ha stimato, nello stesso arco di tempo, delle perdite da 120 milioni di euro per le attività agricole su scala nazionale.

Qual è la soluzione? Il tema ha riacceso il dibattito sul ruolo della caccia come unico mezzo in grado di risolvere il problema. Per le associazioni ambientaliste e animaliste è un metodo controproducente: «Più si spara, più si disgregano i branchi e si innesca un meccanismo di autodifesa che porta i cinghiali a riprodursi più intensivamente», sottolinea il delegato regionale di WWF in Umbria, Pierluigi Di Tonno. Tra le alternative alla caccia proposte dalle associazioni c’è il vaccino immuno-contraccettivo, l’impiego di mangime sterilizzante e l’utilizzo di dissuasori acustici e visivi per allontanare i cinghiali dalle coltivazioni. All’estremo opposto, i cacciatori umbri vedono nell’attività venatoria l’unica strada da percorrere, quantomeno nel breve periodo. L’Associazione Nazionale Libera Caccia di Perugia lamenta i limiti imposti dal calendario venatorio: «Solo tre mesi e mezzo – sottolinea dall’associazione Aldo Peruzzi – ma durante il resto dell’anno gli animali sono liberi di riprodursi, aumentando di numero in modo esponenziale». La soluzione proposta, condivisa anche da Federcaccia, è un incremento della caccia di contenimento: una serie di attività, tra cui l’abbattimento degli esemplari, svolte con l’obiettivo di controllare la fauna selvatica.

La proposta dell’ISPRA – Una terza via è quella proposta dall’ISPRA: davanti all’aumento nazionale dei danni alle imprese agricole, c’è l’esigenza di una strategia basata su un continuo aggiornamento delle conoscenze scientifiche, con interventi di contenimento delle popolazioni e di prelievo selettivo e pianificato. La priorità, per tutti, resta la riduzione dei danni.

Autore

Michele Carniani

Nato a Firenze nel 1999, laureato in Scienze Politiche, studi internazionali, presso l'Università di Firenze. Executive Master in giornalismo,“Scrivere e fare giornalismo oggi: il metodo Corriere", presso RcS Academy. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.