Sostenibilità e innovazione: la transizione a rilento dell’agricoltura umbra

Energie rinnovabili, meno sostanze inquinanti e riscoperta delle piante autoctone. Per ridurre sprechi ed emissioni bisogna studiare tutta la filiera produttiva
Capoccia: «Va di moda dire “faccio il bio”, ma non basta eliminare i pesticidi». Zaganelli: «Ricicliamo l'acqua e con i pannelli solari abbiamo tagliato la CO2 di oltre il 40%»

La farina – L’azienda agricola “Capoccia Bio” ha vinto l’Oscar Green giovani 2021 di Coldiretti nella categoria della sostenibilità e transizione ecologica. Gabriele Capoccia, 37 anni, ingegnere civile di Gualdo Tadino è la quarta generazione di una famiglia che lavora la terra dagli inizi del ‘900. «Facciamo il bio come una volta – dice – come il mio bisnonno. Oggi va di moda dire “faccio il bio” ma non basta smettere di usare i pesticidi. Servono innovazione e studio costante». Due elementi che non spiccano in Umbria, anche se il settore agricolo è centrale per l’economia della regione. I dati del Pnrr umbro 2021-2026 parlano infatti di 28.560 aziende, per una superficie occupata di 326 mila ettari. L’Istat segnala però che di queste solo il 13% coltiva biologico e il tasso di crescita della superficie agricola sostenibile è addirittura negativo, -0.5% , mentre a livello nazionale cresce del 2.6%. I Capoccia vanno in controtendenza: qui la tradizione è stata innovata dal più giovane della famiglia. Se prima la lavorazione dei cereali si faceva altrove, ora si usa il mulino che li macina a pietra. «Produciamo farine, pasta e legumi, pane e prodotti da forno. Le materie prime sono del territorio – spiega Capoccia – la filiera è chiusa e controllata». Vuol dire che dal chicco alla pasta tutto viene lavorato in azienda e il consumatore ha la garanzia che il prodotto finale non venga alterato.

L’impatto ambientale – L’azienda ha vinto il premio green per il suo ridotto impatto ambientale: produce energia elettrica attraverso pannelli fotovoltaici che si trovano dietro al pastificio e alimentano il mulino.  Le confezioni dei prodotti sono in bioplastiche compostabili perché, sottolinea Capoccia, «puntiamo su un’economia circolare e per farlo vanno ridotti i rifiuti e sviluppata una chimica verde». Per arrivare alla sostenibilità bisogna passare per l’innovazione di tecniche e materiali, ma in regione questi nuovi percorsi arrancano. Lo stesso Pnrr Umbria dice che “il comparto agricolo è ancora fortemente legato a modelli di business tradizionali poco resilienti e sostenibili, che non valorizzano innovazioni di processo ”.

Il vino sostenibile – A Torgiano la cantina Lungarotti è un’istituzione. Vanta una riserva di 60mila bottiglie di spumante metodo classico e una stanza che chiamano “la cassaforte” dove sono custodite le bottiglie d’annata di Rubesco dal 1962, una delle etichette umbre più famose al mondo. L’azienda è nata nell’800 e negli ultimi anni ha ottenuto due importanti riconoscimenti. Il “Green heart quality” viene assegnato dalla Regione alle imprese che si distinguono per l’abbattimento delle emissioni di CO2, la filiera sostenibile, l’utilizzo di energie rinnovabili e la riduzione dell’impatto della produzione sul territorio. La seconda certificazione è nazionale, si chiama “Viva” e misura quanto la filiera vitivinicola sia sostenibile.

L’energia – «Ci sono 1.320 metri quadrati di pannelli solari sul tetto dell’azienda, dal 2018 abbiamo ridotto le emissioni di CO2 di oltre il 40%», spiega Francesco Zaganelli, export manager e nipote del fondatore della cantina di Torgiano, che aggiunge: «Non usiamo prodotti chimici per controllare le erbe infestanti e pratichiamo il “sovescio”: piantiamo tra i filari colture interrate, come i farinacei, che fissano l’azoto nell’aria e lo rilasciano a terra. Così si concima in modo naturale e si aumenta la biodiversità del terreno». I fertilizzanti sono infatti una fonte importante di inquinamento. L’ultimo rapporto di Arpa Umbria, aggiornato al 2015, li indica come i responsabili della produzione di 419 microgrammi di PM10 (polveri sottili) che incidono sull’inquinamento dell’aria per il 9% sulle emissioni totali. Una cifra non tra le più alte rispetto ad altri parametri come l’inquinamento dell’industria o quello dei trasporti, ma considerevole se si pensa che nel “polmone verde d’Italia” l’attenzione all’ambiente dovrebbe essere una priorità.

Acqua e microclima – Oltre all’aria l’azienda fa attenzione all’acqua: quella usata per il controllo della temperatura delle vasche di fermentazione, ad esempio, viene recuperata e refrigerata. Oltre all’acqua il microclima. Per tutelate quello della vigna si mantengono le parti boschive vicine. Non viene quindi ampliato il perimetro coltivabile perché «ci sarebbe un aumento della temperatura in quella determinata vigna – spiega l’export manager – e danni sia per la produzione che per l’ambiente stesso». L’Umbria ha quindi le potenzialità, e queste aziende lo dimostrano, per diventare davvero a trazione green. Per farlo però manca ancora una mentalità nuova che si smarchi da vecchie pratiche di coltivazione.

Autore

Greta Dircetti

Nata a Padova nel 1995. Laureata in Governo delle amministrazioni all'università di Padova e in Mass media e Politica all'università di Bologna. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.