Montecchio, storia di un paese a metà

Dal dopoguerra il Comune di Montecchio, 1500 anime, ha perso la metà degli abitanti. Ora spera nei turisti e stranieri che vengono a vivere in Umbria
Una signora olandese: "mi sono trasferita 10 anni fa con la mia famiglia, si vive tranquilli e mi posso dedicare ai miei ulivi"

«L’hai più vista così?» chiedeva Mia Martini della sua Roma nella celebre canzone La nevicata del ‘56. Per piccoli borghi come Montecchio in provincia di Terni, invece, l’ondata di freddo di quell’anno non portò solo il candore della neve, ma fu la principale causa dello spopolamento di queste zone rurali. Un fenomeno che continua anche oggi, ma con qualche eccezione che fa ben sperare.

Lo spopolamento – «La popolazione del Comune di Montecchio, al momento della sua istituzione nel 1948, (prima era una frazione del Comune di Baschi) era di 3.014 abitanti» spiega il sindaco Federico Gori. Poi il numero di abitanti ha cominciato a calare, censimento dopo censimento: «Il momento preciso in cui il paese ha cominciato a spopolarsi è dopo la gelata del 1956». Evento che ha assestato un durissimo colpo ad un territorio a vocazione prevalentemente agricola. Nel giro di 70 anni la popolazione si è dimezzata e oggi in tutto il comune vivono circa 1.500 persone. «In certi anni sono più i funerali dei battesimi» osserva il primo cittadino. Ma questo fenomeno interessa quasi tutte le sue frazioni. Ad esempio, a Tenaglie, frazione di Montecchio, dai 300 abitanti presenti nella frazione negli anni Novanta, adesso il piccolo centro ne conta appena 3. Solo i vicini capoluoghi di Baschi e Guardea resistono.

La scuola – A Montecchio ci sono scuole elementari e medie, ma ogni anno far partire le classi è una lotteria . Il pericolo è che vengano accorpati anni diversi. Solo l’immigrazione da Macedonia e Romania ha mitigato in parte il crollo demografico di questi piccole realtà rurali. «Negli ultimi 10-11 anni l’arrivo degli stranieri ha salvato la vita delle scuole» dice Gabriele, un altro abitante di Montecchio. Secondo l’ultimo censimento, gli stranieri sono quasi il 10% della popolazione. «Tutta gente integrata tranquillamente» chiarisce. La più grande azienda di legname della zona è di una famiglia romena: lì lavora la maggior parte delle famiglie giunte a Montecchio. Nonostante gli arrivi dall’Europa dell’Est, però, il centro rimane praticamente vuoto. Solo qualche anziano si affaccia alla finestra per guardare incuriosito i turisti che, approfittando dell’allentamento delle restrizioni anti-Covid, si aggirano per le antiche case in pietra. Ma, tra i colori dei fiori che abbelliscono i balconi, colpisce di più il verde dei cartelli con scritto «vendesi».

Un signore seduto ai tavoli del bar nella piazza principale di Montecchio (TR)

Una speranza che viene da lontano – Da qualche anno Montecchio è anche nella lista dei Borghi più belli d’Italia e la sua storia si ammira in ogni angolo del centro medievale. Il paese era infatti il punto di contatto tra due «civiltà»: da una parte la guelfa Orvieto, dall’altra la ghibellina Todi. E sulle pendici del Monte Croce di Serra queste due realtà si sono incontrate nei fiorenti traffici commerciali lungo la Via Francigena. Oggi, il luogo immerso nel verde degli ulivi potrebbe rivelarsi un’alternativa all’inquinamento delle grandi città. Borghi come questi in tempi di pandemia diventano sempre più preziosi. E qualcuno l’ha già scoperto: «Qui si vive bene, si sta tranquilli e l’unico sforzo che faccio è potare gli ulivi che ho in giardino» racconta una signora olandese seduta al bar della piazza principale. Vive ormai da 10 anni a Montecchio con tutta la famiglia. E non è l’unica straniera ad aver scelto un piccolo borgo dell’Umbria per godersi la pensione. Forse, in un futuro, anche quei montecchiesi che negli anni Sessanta scelsero la città torneranno.

Autore

Francesco Ferasin

Nato a Vicenza il 01/02/1997. Laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Verona. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.