Bambini costretti a giocare col fuoco

In Guatemala i minori sono sfruttati dai produttori di fuochi d'artificio. Da vent'anni, l'associazione umbra “Sulla Strada” prova a dare ai ragazzi un'altra opportunità di vita
I racconti dei volontari italiani: «Quando muore un bambino facciamo denuncia. Ma non succede mai nulla. Non c'è polizia, né informazione». Una lotta di rinascita che dall’Umbria arriva all’America Centrale

Non poteva chiudere gli occhi. Da tre anni. Un’esplosione gli aveva bruciato il volto e polverizzato le palpebre. Può succedere, quando si è costretti a lavorare con la polvere da sparo. Il giorno dell’incidente, Wilmer aveva sette anni e stava fabbricando fuochi d’artificio nella sua casa a La Granadilla, in Guatemala. Da allora, l’inferno. Cose normali come luce, polvere e mosche si erano trasformate in torture quotidiane. Wilmer è rinato solo quando un chirurgo italiano, un volontario dell’associazione umbra Sulla Strada, gli ha ricostruito le palpebre. Dopo l’intervento, come prima cosa, si è guardato allo specchio.

Fuoco nelle mani – Nel villaggio di Wilmer, si produce una sola merce: fuochi d’artificio. I bambini vengono messi a lavorare non appena riescono a maneggiare una miccia, a volte già a quattro anni. Gli incidenti sono frequenti, dato che si lavora anche di notte, in case di legno e paglia, illuminati dal fuoco di candele accese. Nel Paese, secondo i dati dell’Unicef, metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e il 26 per cento dei minorenni è costretto a lavorare.

Accendere una luce – «Ho viaggiato per anni in America Centrale. Dopo aver visto il Guatemala, ho deciso di fermarmi qui». Carlo Sansonetti voleva dare una mano. Era il 2000 quanto ad Attigliano, in provincia di Terni, ha fondato Sulla Strada, una ong che dall’Umbria vuole portare un’alternativa alla popolazione di La Granadilla. In quasi vent’anni ha costruito una scuola per 250 bambini e un poliambulatorio, ha portato nel villaggio cibo, acqua, elettricità. «Non siamo lo Stato. Non possiamo cambiare strutturalmente la situazione», chiarisce Sansonetti. «Ma possiamo dare ai bambini altre opportunità di vita. Grazie alla scuola molti sono diventati impiegati, maestri, infermieri, periti agronomi».

Medici e infermieri dell’associazione Sulla Strada al lavoro a La Granadilla

Ostacoli e retorica – «Quando muore un bambino, ed è successo, facciamo denuncia. Ma non succede mai niente. Non c’è polizia, né informazione». Sansonetti è lapidario: «Se capita un incidente, le aziende non fanno altro che bussare alla porta successiva. Hanno un oceano di poveri da cui pescare». E se in Guatemala l’autorità pubblica non aiuta, in Italia la politica rende complicato raccogliere fondi. Lo sa bene Camilla Sansonetti, responsabile della comunicazione. «La retorica anti-ong ha fatto di tutta l’erba un fascio. Da un paio d’anni facciamo più fatica a raccogliere fondi». La situazione peggiore è sui social media, spiega Camilla. «Fare campagna sta diventando impossibile. Spesso veniamo coperti di insulti».

Eredità perduta e ritrovata – Gli abitanti di La Granadilla sono tra i discendenti dei Maya, il popolo che ha dominato l’America Centrale per circa due millenni, fino all’arrivo dei conquistatori spagnoli. La cultura Maya, a causa di secoli di colonizzazione ed egemonia occidentale, ha rischiato di scomparire. «Noi valorizziamo questa identità culturale», racconta il presidente della ong. «Le nostre maestre, tutte guatemalteche, insegnano la lingua, le tradizioni e la storia Maya». La scuola dell’associazione Sulla Strada, dal 2004, è infatti uno dei cinque istituti inclusi nel programma “scuole bilingue” promosso dal governo del Guatemala. «La cultura Maya ci dà anche una lezione sul cambiamento climatico», conclude Sansonetti. «Perché riafferma il rapporto intimo e sacro tra uomo e natura».

Bambine della scuola bilingue vestono costumi indigeni durante una recita

Autore

Arnaldo Liguori

Nato a Genova nel 1992. Laurea triennale in Scienze Politiche. Laurea magistrale in Mass Media e Politica all'Università di Bologna, con una tesi di ricerca sulla disinformazione online in Italia. Ha svolto un periodo Erasmus a Vilnius, in Lituania. Oggi è giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.