Big data, il “vaccino tecnologico” per il Covid-19

In Cina e Corea del Sud l’uso dei dati è stato fondamentale per combattere il diffondersi del contagio. Ora anche l’Italia studia una strategia: un’impresa umbra è in prima fila

Big data, contact tracing, geolocalizzazione. In attesa che la scienza riesca a fornire risposte efficaci al Coronavirus, la tecnologia può essere fondamentale nel contenere la pandemia che sta facendo trattenere il fiato al mondo intero.

La Cina e il “modello” Corea del sud – «Chiudiamo tutto, come a Wuhan»: è quello che molti in Italia hanno auspicato, fin dagli albori dell’epidemia di coronavirus, ma subito è stato evidente che imitare totalmente la Cina non sarebbe stato possibile, perché le misure imposte da Pechino in un democratico paese europeo sono inapplicabili. Basti pensare che il governo guidato da Xi Jinping, per far rispettare la quarantena, ha intensificato il suo sofisticato (e criticato) sistema di videosorveglianza, composto da circa 200 milioni di telecamere di sicurezza installate in tutto il Paese. Poi ci sono le app, che permettono di mappare la propagazione del virus a scapito, però, della privacy. Molte infatti richiedono agli utenti di registrarsi fornendo le generalità o altri dati personali. Altri paesi, invece, tramite la tecnologia sono riusciti a contrastare efficacemente l’epidemia senza chiudere tutto, evitando dunque il famoso lockdown. È il “modello” Corea del Sud: da un lato tamponi a tappeto (addirittura eseguiti su cittadini direttamente nella propria autovettura, all’arrivo nel parcheggio dell’ospedale), dall’altro utilizzo della tecnologia per tracciare i focolai del virus. Grazie all’app “Corona 100m”, la popolazione si è potuta informare costantemente sulle aree a rischio: attraverso dati anonimi è stato mappato il territorio, segnalando la presenza delle persone positive al Covid-19, con vari colori ad indicare l’arco temporale nel quale è avvenuto il transito dei contagiati. Poco tempo dopo l’adozione di “Corona 100m” c’è stato il picco di casi (fino a 800 in un giorno) ma un paio di settimane più tardi il dato era sceso a poche decine di contagi quotidiani.

Andamento dei contagi di Covid-19 in Corea del Sud
Fonte dei dati:
https://cmmid.github.io/topics/covid19/current-patterns-transmission/global-time-varying-transmission.html

Innova per l’Italia Vista la situazione drammatica che l’epidemia di Covid-19 ha generato in Italia, guardare a queste esperienze è d’obbligo. Anche per questo il governo ha lanciato il progetto “Innova per l’Italia”, un’iniziativa congiunta dei ministeri per l’Innovazione, dello Sviluppo e dell’Università, insieme a Invitalia e a sostegno della struttura del Commissariato Straordinario per l’emergenza Coronavirus. Si tratta di un invito ad aziende, università, enti e centri di ricerca pubblici e privati, associazioni, cooperative, consorzi, fondazioni e istituti, per l’utilizzo di tecnologie utili al monitoraggio e al contenimento del Covid-19. All’appello hanno risposto moltissime aziende, fra cui anche l’orvietana Vetrya, leader nel settore dei servizi digitali. Vetrya ha messo a punto un progetto, chiamato PJ19: si tratta di un’applicazione che consentedi ricostruire la catena di contatti con elevata precisione. Il sistema, indipendente dai dati degli operatori delle telecomunicazioni, permette un tracciamento basato non sulle celle telefoniche o sul gps ma sullo scambio di informazioni tra dispositivi. I dati, che permettono di capire se e quanto si è stati vicino ad un soggetto a rischio, vengono poi inviati alla piattaforma di controllo. Dall’azienda suggeriscono inoltre che la gestione dovrebbe essere interamente governativa, magari tramite Sogei (società controllata dal ministero dell’economia che offre servizi di consulenza informatica per la pubblica amministrazione), perché in questo momento nel mondo c’è una grande caccia ai big data.

Il nodo della privacy L’Italia dunque continua a lavorare alla creazione di una task force di esperti e data scientist per studiare i dati disponibili utili a modulare meglio gli interventi di contenimento. L’obiettivo è vagliare le migliori proposte tecnologiche per monitorare l’epidemia, soprattutto conoscendo meglio i movimenti delle persone. L’idea è mettere in giro delle app chiedendo ai cittadini di scaricarle sul loro telefono e accettando di vedere tracciati i propri movimenti. Ci sono però anche altre soluzioni, incluse quelle che consentirebbero di geolocalizzare i cittadini senza il loro esplicito consenso. Misure del genere, tuttavia, richiederebbero una legge ad hoc. Ci sono già le prime aperture. Lo stesso Garante europeo alla privacy recentemente ha dichiarato che gli Stati possono introdurre misure legislative a tutela della sicurezza pubblica, a condizione che siano necessarie, appropriate, proporzionate e, soprattutto, che si utilizzino i dati in modo anonimo. Sulla stessa linea è anche il Garante per la privacy, che per ora non si sbilancia ma fa presente che la priorità in questo momento è la salute dei cittadini. Un bene, precisa, da valutare con gli altri interessi in gioco.

Il rapporto che mostra il paese fermo Eppure in Italia già si è fatto ricorso ai big data per verificare l’impatto delle misure d’emergenza imposte dal Coronavirus. La Fondazione ISI di Torino, in collaborazione con l’azienda statunitense Cuebiq che ha fornito i dati sugli spostamenti, ha realizzato un rapporto in cui si analizzano i dati di ben 170.000 utenti di smartphone in base alla posizione GPS, le reti WiFi, i segnalatori bluetooth e le reti cellulari. Si tratta di informazioni ottenute in modo trasparente, tramite app partner dell’azienda che richiedono il consenso all’acquisizione e poi rese anonime in modo che gli spostamenti del singolo utente non possano essere ricondotti alla sua identità. Grazie a questo tipo di ricerca (ne è stata effettuata una analoga nella città di New York) è stata creata una mappa dalla quale emerge la diminuzione dei movimenti degli italiani: nella settimana del lockdown, la riduzione è stata superiore al 50%. «Sebbene si tratti di dati “sporchi”, cioè non di un campione statisticamente significativo, abbiamo controllato che fossero omogenei sul territorio nazionale, in modo da non avere distorsioni. Per le province con pochi utenti non abbiamo messo dati» ci spiega Michele Tizzoni, ricercatore dell’Isi e uno degli autori del rapporto. Il tutto nel pieno rispetto del Regolamento europeo sulla privacy, le informazioni utilizzate sono infatti de-identificate, ovvero non rappresentative, né per età né per genere, degli utenti. «I risultati comunque si possono considerare attendibili, data la numerosità dei soggetti coinvolti. Non sappiamo nulla di queste persone e non vogliamo identificarle. Alle volte si parla di tracciamento dei contagi, ecco questo non lo possiamo fare» precisa Tizzoni. In alternativa, ci spiega, si sarebbe potuto effettuare un sondaggio con un campione statistico della popolazione, ma ci sarebbe voluto molto più tempo e molte più risorse. Un esempio di quanto i big data possano essere utili, soprattutto in un momento di emergenza come questo.

Autore

Lorenzo Pelucca

Nato a Perugia il 25/06/1988. Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Perugia. Giornalista praticante del XIV biennio presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.