«Morirò in questa casetta»

Preci, il freddo congela le vite di chi dopo il sisma fatica ad andare avanti
Le difficoltà quotidiane di chi vive il terzo inverno, fuori di casa, dopo il terremoto. Il freddo e il bisogno di non restare soli. Per i paesi della Valnerina il futuro è una grande incognita

Non è facile ripartire, guardare al futuro, avere delle speranze. Più il tempo passa e più lo sconforto si insinua nelle vite di chi ha vissuto il terremoto del 2016 nel Centro Italia.
Parlando con gli abitanti di Preci, piccolo paese di 700 abitanti nella parte sud est dell’Umbria, è difficile non farsi coinvolgere dai loro racconti e le loro emozioni. L’impressione che si ha, camminando per le strade di questo borgo immerso nel Parco dei Monti Sibillini, è che qui siano rimasti solo gli ultimi, quelli che non hanno nessun altro posto dove andare, un altro tetto sotto cui dormire.

I danni – Il terremoto ha reso inagibile il 60 per cento delle case e gli abitanti di Preci si sono divisi: 83 persone vivono nelle Soluzioni Abitative d’Emergenza, 277 nelle Autonome Sistemazioni e 18 nei Mapre (i Moduli abitativi prefabbricati rurali d’emergenza).
Le persone raccontano che chi può scappa via, anche dalle casette messe a disposizione per gli sfollati. Le piazzole per le Sae, disseminate nelle varie frazioni del paese, sono molte, ma colpisce che tanti prefabbricati siano vuoti, disabitati.

Aspettando la ricostruzione – Una signora, in compagnia del suo cane, rientra in casa dopo una passeggiata. In poche parole condensa tutto il suo sconforto: «Ho settanta anni e non rivedrò mai più casa mia. Io in questa casetta ci morirò››. Indica le porte vicino la sua e dice che nelle case a sinistra e a destra della sua, non abita nessuno. Erano state assegnate a degli anziani che però hanno deciso di andare via, trasferendosi da figli o nipoti. Così lei è rimasta sola, sperando nella compagnia di chi passa lì per caso, arrendendosi al fatto che non rientrerà più nella propria casa e aspettando un nuovo terremoto, dato praticamente per certo.
La parola che si sente più spesso da queste parti è “ricostruzione”, ma è sempre seguita da un punto interrogativo. Il paese sarà ricostruito? In molti non ci credono più e in due anni non è cambiato niente. La burocrazia è considerata il “grande nemico”, ma ad affievolire le speranze c’è anche la consapevolezza della vastità del territorio sconvolto dai terremoti del 2016, che rende difficile per le istituzioni poter dare risposte tempestive.

Il terzo inverno fuori di casa – Per Antonio, che gestisce un alimentari nella parte bassa del paese, l’inverno è il periodo dell’anno peggiore. In giro per Preci c’è poca gente, la notte fa freddo, le tubature si ghiacciano con facilità e molto spesso si resta senza acqua calda in casa. Preci è, per la maggior parte del suo territorio, una località di montagna e le pareti dei prefabbricati in cui vivono i terremotati sono troppo sottili per le temperature che si raggiungono in questi mesi. Così i riscaldamenti rimangono accessi tutto il giorno, sperando che le bollette ricomincino ad arrivare il più tardi possibile.

Una richiesta d’aiuto – Nella frazione di Montebufo, a 1150 metri sul livello del mare, c’è un giovane pastore che sembra l’ultimo guardiano del vasto altopiano che si affaccia sui Monti Sibillini, imponenti e suggestivi. Fuori dal Mapre in cui vive, il bucato è steso ad asciugare su un unico filo, teso tra due pali di legno, in mezzo al prato coperto di neve. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, a quando le persone vivevano di stenti, in case di fortuna. Secondo lui si dovrebbero raccontare di più le sofferenze di chi vive in questi luoghi, perché è nel lungo periodo che si manifestano le vere difficoltà: «È in questo momento che i terremotati hanno più bisogno di solidarietà››. Insieme alla sua famiglia, alleva pecore e coltiva legumi. Loro, come molti altri nella sua stessa condizione, ripetono di aver bisogno di aiuti, che le persone comprino i loro prodotti e permettano alle piccole attività commerciali di ripartire, evitando la distruzione definitiva del territorio in cui vivono. Questo giovane pastore non vuole essere fotografato o ripreso con la telecamera, ma chiede di essere aiutato, di non essere lasciato solo. Il freddo scandisce le giornate, attraversa le pareti e, alcune notti, gli impedisce di dormire.

Economia e turismo – In borghi come quello di Preci, dove già lo spopolamento erode pian piano la socialità, sono gli allevatori, gli agricoltori, i proprietari dei bar, dei ristoranti e degli alimentari che mantengono in vita il paese. Il turismo, però, in due anni e mezzo, è crollato da circa 60 mila presenze annue alle 3 mila e 500 della scorsa estate. Sempre più abitanti lasciano Preci. I negozi sono vuoti e andare avanti diventa ogni giorno più difficile.

Autore

Sofia Gadici

Nata a Fiuggi il 14 dicembre 1992. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali all'Università di Roma Tre e in Comunicazione pubblica digitale e d'impresa all'Università degli Studi di Perugia. Giornalista praticante presso la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.