«Servizio militare? L’unica difesa che serve è quella della nostra umanità»

Negli anni ’80 l'attivismo dei movimenti nonviolenti portò all’affermazione del servizio civile e del diritto all’obiezione di coscienza
I racconti di Gabriele De Veris e Sandro Bartoletti, dalla scelta controcorrente all'arresto per diserzione: «Reintrodurre la leva sarebbe una sciocchezza colossale»

L’arrivo a casa, al compimento dei 18 anni, della cartolina di convocazione per la visita militare. L’addestramento al centro CAR e poi, dopo 40 giorni, il trasferimento alla caserma fuori regione. Quella del servizio militare di leva è un’esperienza che ha accomunato i giovani di tutta Italia, per anni tappa obbligatoria nella crescita di intere generazioni di ragazzi. Ma non per tutti. Le storie di Gabriele De Veris e Sandro Bartoletti presentano uno spaccato di alcuni dei movimenti di contestazione che grazie a campagne di sensibilizzazione, volantinaggi e assemblee hanno, tra gli altri, contribuito ad alimentare il dibattito sul tema fino al raggiungimento della sospensione del servizio di leva.

Verso un cambiamento nonviolento – Gabriele De Veris oggi lavora come bibliotecario nel complesso di San Matteo degli Armeni, appena fuori le mura medievali di Perugia. Nell’89 arriva la chiamata per il servizio militare: «Venivo dal mondo dello scoutismo – racconta – dove già da tempo si era avviata una riflessione sul tema: dire no all’arruolamento non è però stata solo una questione di appartenenza, quanto il personale rifiuto della guerra, degli eserciti, della violenza». Nel 1972, sulla spinta dei movimenti di protesta del ’68, era stata promulgata la legge 772, che introduceva la possibilità del servizio civile sostitutivo. Ma l’obiezione, più che un diritto, veniva ancora considerata un “beneficio concesso dallo Stato”, con approccio rigorosamente punitivo: il periodo di servizio per gli obiettori era più lungo di quello della leva (18 mesi invece di 12) e le richieste venivano gestite dal ministero della Difesa. «Avevo fatto domanda per l’Istituto Serafico di Assisi, che si prende cura di persone cieche e sordomute – spiega – eppure sono stato assegnato alla biblioteca Augusta. A me è andata anche bene, rispetto ad altri, ma ci battevamo per poter scegliere noi dove andare a prestare servizio».


Sulla sinistra, Gabriele De Veris a una Conferenza insieme alla comunità Baha’i (1995)

La riforma della legge – Anche per questo Gabriele si avvicina alla LOC, la Lega degli obiettori di coscienza, e insieme ad altri giovani danno vita all’Associazione umbra per l’obiezione di coscienza: «Non volevamo riempire le piazze, ma portare le nostre testimonianze per provocare un dibattito volto alla riforma della legge, per rendere il servizio civile un reale diritto». Prendendo ispirazione dal pensiero di Aldo Capitini, negli anni organizzano incontri, manifestazioni pacifiste e proteste a sostegno dei giovani incarcerati per essersi opposti alla leva. Un percorso di educazione civica e politica che, all’interno di un più ampio e vivace quadro di organizzazioni in quel periodo di intensa partecipazione sociale, porterà poi al superamento della legge 772. «Dopo 35 anni posso dire di essere soddisfatto del percorso fatto – afferma Gabriele guardando indietro – ma non dei risultati. Sì, l’obbligo è stato abolito, ma mancano ancora corpi civili di pace e ancora si romanticizzano politiche di riarmo». Reintrodurre la leva militare, un ritornello che in questi ultimi mesi di violenze e guerre, vecchie e nuove, è tornato di moda? «Sarebbe una sciocchezza colossale. A forza di alimentare l’idea della guerra – conclude – non facciamo che rafforzarla. L’unica risposta è un rifiuto totale».

Combattere la guerra con l’umanità – «Volevo fare qualcosa di utile alla società e agli altri – spiega Sandro Bartoletti, che oggi vive non lontano da Città di Castello – allora ho chiesto di fare il servizio civile presso una casa famiglia ad Elce». Invece, un copione simile a quello di Gabriele e di tanti altri giovani antimilitaristi del tempo, il ministero della Difesa gli assegna un posto all’Usl di Gubbio. «Sentivo che era necessario opporsi a una legge che trovavo insensata: il nostro obiettivo non era solo l’abolizione della leva obbligatoria, ma il superamento dell’idea predominante della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Con un po’ di utopia, vedevamo gli spiragli per una trasformazione». Era il 1983 ed erano gli anni del rischio nucleare e della cosiddetta “ripresa” della guerra fredda. Insieme agli altri giovani della LOC, Sandro rivendicava il diritto all’autodeterminazione: «Proprio perché credevo nell’utilità del servizio civile volevo decidere io dove farlo, ma sono stato arrestato per diserzione». Dopo più di 40 anni, Sandro continua a dar voce agli ideali che negli anni ’80 lo portarono a una scelta considerata controcorrente, della quale non si è però mai pentito: «Altro che difesa non armata e nonviolenta della Patria, quello che serve è difendere la nostra umanità: solo entrando in empatia e sviluppando forme di solidarietà possono esserci speranze per un reale cambiamento sociale».

Autore

Teresa Fallavollita

Nata a Perugia il 29/02/1996 e laureata in Scienze Politiche e Storia all'Università degli Studi di Bologna. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.