Carceri italiane, il miraggio della rieducazione

Ludovica Cherubini Scarafoni in un libro critica gli istituti italiani, a partire dalle teorie abolizioniste del Nord Europa
«Non si parla di abolire la detenzione ma di puntare al reinserimento in società. Per le donne numeri bassi e poche attività: così la pena vale doppio»

La scrittrice Ludovica Cherubini Scarafoni riflette sul concetto di abolizionismo carcerario, una teoria nata in Europa prevede che le prigioni scompaiano. Nel suo libro “Oltre la fabbrica dell’esclusione” l’autrice, in particolare, sposa la causa dell”abolizionismo istituzionale’, definizione italiana che «è una critica alla misura detentiva, non al sistema e all’apparato penale. Dopo la mia laurea in Giurisprudenza e la mia attività svolta nel carcere di Capanne ho iniziato ad interessarmi a come sviluppare il discorso della rieducazione in prigione, per permettere ai detenuti di essere poi reinseriti nella società».

I problemi della messa in pratica – Cherubini precisa che la sua non è una critica al carcere in generale, ma alle condizioni di detenzione negli istituti italiani. Chi segue le teorie abolizioniste preferisce l’utilizzo delle misure alternative, che danno sì molti benefici ai detenuti, ma poichè complicate da mettere in pratica non vengono mai utilizzate e si ricorre quasi sempre alla detenzione ‘classica’. Il problema principale è che servirebbe implementare l’affidamento ai servizi sociali e gli arresti domiciliari. Però, tra teoria e pratica resta un abisso. Attualmente, «le carceri non seguono i percorsi di rieducazione» sostiene Cherubini.

L’esperienza dell’autrice – L’autrice racconta di aver lavorato nella sezione femminile di Capanne, entrando lì grazie all’università e, assieme a diverse colleghe, offrendo uno sportello per consulti legati alle detenute. Durante questi colloqui, gli argomenti affrontati erano diversi tra cui l’assenza di attività. «Dato il numero basso di detenute, non conviene organizzare nulla a livello economico». Le uniche occupazioni all’interno del carcere riguardano cucina e lavanderia, e tutte le detenute se ne sono lamentate con l’autrice. «Così il peso della pena vale doppio» commenta. Un altro dei problemi più importante per le detenute riguarda l’assistenza sanitaria, e denunciano visite promesse e mai eseguite e poco personale medico all’interno della struttura. «È un mondo veramente precario» conclude Ludovica Cherubini Scarafoni.

Autore

Carlo Bellotti

Cresciuto a Roma, ho studiato Comunicazione alla Lumsa. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia