Opere, volti e diritti: il terremoto Intelligenza Artificiale

Il professor Amidei, docente di Diritto delle nuove tecnologie a Bologna: «Senza leggi, sarà un monopolio delle Big Tech»
Dalle proteste di Hollywood alle fake news: in crisi anche informazione e intrattenimento. E fra i giovani è allarme revenge porn

Di fronte agli affreschi della Cappella Sistina, ogni turista rimane estasiato dalla maestria di Michelangelo. Ma immaginiamo che, per liberare i suoi prigioni dal marmo, il genio toscano avesse affidato il compito a uno dei suoi scolari, fornendogli solo qualche indicazione sul risultato da ottenere. Saremmo pronti a parlare di plasticità michelangiolesca? Vedremmo nei musei il suo nome stampato sulle targhette? O preferiremmo piuttosto affidare la paternità dei capolavori a una scuola? Di questo si occupa, oggi, chi ipotizza un futuro per intelligenze artificiali, creatività e diritto d’autore.

Andrea Amidei

Furto d’arte – «Non è scontato di chi siano le opere create con le intelligenze artificiali» e, in questo dilemma, si inseriscono gli interessi conflittuali delle Big Tech e degli artisti. A sostenerlo è Andrea Amidei, docente all’università di Bologna, avvocato ed esperto di diritto delle nuove tecnologie. Per lui, lo spartiacque fra un’Ai a servizio dei cittadini e il dominio dei giganti del settore, passa da un’attenta legiferazione.

Molti sostengono che le intelligenze artificiali siano come gli scalpelli per gli scultori, un sofisticato strumento nelle mani degli artisti. È così, oppure la paternità delle opere è dubbia?
In realtà, non è così semplice. Se si afferma che la creatività possa essere solo umana, è così. Ma bisogna verificare l’effettivo apporto dell’Ai nella creazione: una cosa è usarla come mero strumento, un’altra è limitarsi a spingere un pulsante o a dare comandi generici a un algoritmo che crea tutto. A mio avviso, si dovrebbe interpretare il requisito di creatività come meno antropomorfo, esistono nuove forme di creatività assistita che meritano tutela.

In questo modo, però, non si rischia che siano le Big Tech ad accaparrarsi i diritti (e i profitti) sullo sfruttamento delle opere?
Di questo si sta occupando il diritto. Le tesi di chi sostiene che l’Ai abbia una propria personalità elettronica sono poco elaborate. Francamente, ritengo che sarebbe più opportuno attribuire il diritto d’autore (e quello patrimoniale) a chi, di fatto, usa le Ai. Al contrario, rischieremmo di creare monopoli in capo a pochi soggetti proprietari delle tecnologie.


Théâtre D’opéra Spatial, l’opera artificiale che ha vinto la Colorado State Fair Fine Arts Competition

Le comparse di Hollywood protestano da mesi per tutelare l’immagine con cui lavorano. Il pericolo è che il loro volto, dato in pasto alle Ai, finisca nei lungometraggi dei prossimi 50 anni. È successo al premio Oscar Tom Hanks, apparso a sua insaputa in uno spot pubblicitario. E, ugualmente, al presentatore italiano Gerry Scotti che interpreta Barbie, suona il banjo e segna gol in rovesciata in centinaia di video artificiali su Instagram. «Se volesse, Scotti potrebbe chiedere a tutti di rimuovere la propria immagine», spiega Amidei.

I deepfake hanno messo in crisi il concetto di verità in tutti i campi: dall’informazione all’intrattenimento. Come tutelarsi?
Difficilmente il fenomeno è arginabile in termini pratici. Di questo si è occupata recentemente anche l’Unione Europea nell’Ai Act: il regolamento disciplinerà specificamente i deepfake, imponendo etichettature e avvertenze. Sono importantissimi certi divieti, se pensiamo per esempio a come le Ai sono in grado di distorcere il voto degli elettori.


Alcuni meme realizzati tramite deepfake con il volto di Gerry Scotti

Come proteggersi dai pericoli quotidiani sui social? Penso anche ai rischi del revenge porn
Il revenge porn è un reato e in Italia è sanzionato pesantemente. Ma spesso a livello pratico, per bloccare e punire chi fa queste cose terribili in rete, ci sono difficoltà difficilmente superabili.


Non è rincuorante. Lo stesso vale anche per chi lavora con il proprio volto?
Al momento, a mio avviso la soluzione va trovata prima: in ambito contrattuale. Quando presto la mia immagine per un film, uno spot o altro, devo stare più attento oggi a concederla in relazione a una determinata attività. Il rischio è che l’attribuzione, specialmente a personaggi noti, di contesti e parole differenti facciano molti danni.

Quindi, la soluzione sarebbe l’adozione di un bollino di verità per ogni film, video online e articolo di giornale che leggiamo?
Non lo so, ma potrebbe aver senso. A tutela dei creatori e dei lettori.

Autore

Andrea Ceredani

Nato a Firenze il 26/02/1998. Laureato in Filologia, Letteratura e Storia dell'Antichità. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.