Disturbi alimentari, l’esempio di David: «Io, rinato in cucina, ora aiuto gli altri»

Orvietano, 24 anni, si è lasciato la malattia alle spalle e oggi collabora con Fondazione Cotarella per la lotta ai DCA
«Ero bulimico. Chiedere aiuto è il passo più difficile: ma solo così puoi salvare te e chi ti è a fianco»

«Quando si ha un disturbo del comportamento alimentare non esiste presente né futuro. C’è solo la malattia che fa da padrona nelle nostre giornate». David Scatolla, 24 anni, orvietano, parla col sorriso. Lo si capisce anche senza vederlo, mentre ci racconta la sua storia chiacchierando al telefono. I momenti più difficili se li è lasciati alle spalle, riconosce sereno il giovane, che oggi opera per sensibilizzare sul tema della malattia di cui – secondo l’Istituto Superiore di Sanità – soffrono più di tre milioni di persone solo in Italia, oltre a rappresentare la prima causa di morte tra gli adolescenti, dopo gli incidenti stradali.

Scoprirsi malati – Se gli si domanda di descriversi durante gli anni più bui, David risponde che era un ragazzo timido e introverso: «Qualsiasi cosa mi spaventava, al punto da rinchiudermi in me stesso e rifugiarmi nella malattia». Oggi, dopo due ricoveri in altrettante strutture specializzate, appare grintoso e socievole. La consapevolezza della malattia arriva nel 2019, quando David – ammette lui stesso – “DCA” (disturbi del comportamento alimentare) non sa nemmeno cosa significhi. «Ho iniziato ad imbattermi in questo acronimo – ricorda – navigando in internet, digitando certi miei sintomi che mi sembravano sospetti». Mangiare solo determinate qualità e quantità di alimenti, sentirsi a disagio nel relazionarsi col cibo di fronte agli altri, vergognarsi del proprio corpo: sono malesseri che David si porta dietro fin da bambino, ma che a lungo ha faticato a vedere per quel che realmente erano, indizi di una malattia in piena regola. «Il punto di non ritorno, che mi ha fatto prendere coscienza della malattia – prosegue – è stato quando mia madre mi ha sorpreso a rimettere».

David Scatolla

Rialzarsi in piedi – Per David seguono lunghi mesi di terapia in due centri di Todi specializzati nel trattamento e nella cura dei disturbi alimentari. Nel frattempo, la pandemia. «Durante il Covid mi sono chiuso in me stesso ancora di più, sviluppando una forma di ansia sociale e non uscendo di casa per mesi e mesi: c’ero solo io e i pregiudizi su me stesso che mi ero costruito». Poi, a inizio 2023, la scelta di lasciare il centro terapeutico in cui si trova perché, spiega, «l’ambiente di ricovero non faceva più per me». Infine il fortunato incontro con Fondazione Cotarella, che lo coinvolge in una serie di iniziative per risalire la china. «Sono tornato, lentamente, a vivere», prosegue David. Accompagnato da una counselor e da una nutrizionista, è ospite di vari chef nei loro ristoranti: «Inizialmente cucinare mi faceva paura – confessa – ma grazie al loro calore ho imparato a destreggiarmi tra gli ingredienti, ad apprezzare il gusto di preparare e mangiare una pizza, a recuperare quel senso di convivialità che la malattia mi aveva portato via».

Aiutare gli altri – Oggi David è impegnato a ricambiare l’aiuto che ha ricevuto. Nella sua Orvieto è responsabile del progetto di adesione dei volontari presso il centro di ascolto che Fondazione Cotarella ha aperto sul territorio per prevenire e sensibilizzare in materia di DCA. Non è raro incontrare nelle storie degli altri tratti comuni con la propria esperienza: «Avendo un percorso terapeutico alle spalle – racconta ancora – è più facile entrare in empatia con chi viene a chiederci una mano. È una malattia che toglie tanto, certo, ma unisce anche le persone. A me ha dato una seconda famiglia, fatta da chi mi ha aiutato e da chi saprò aiutare a mia volta».

Autore

Enrico D'Amo

Originario di Piacenza, classe 1996. Laureato in Lettere all'Università di Torino. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.