Una mano (bionica) dall’AI

L'intelligenza artificiale rivoluziona il mondo delle protesi, controllabili come arti veri: prossimo passo i feedback sensoriali
Gruppioni, direttore ricerca del Centro Inail di Budrio: «Per i nostri assistiti cambia tutto: i movimenti possono avvenire modo quasi naturale»

Pugno chiuso, mano aperta, presa con due dita o indice puntato. Possono sembrare gesti semplici, se non banali, ma far replicare questi movimenti a una mano protesica fino a poco tempo fa era impensabile. Adesso, grazie agli algoritmi di intelligenza artificiale (machine learning), gli esperti del Centro protesi Inail di Budrio possono restituire ai pazienti alcune funzionalità di una mano naturale.

L’ingegnere Emanuele Gruppioni, direttore tecnico dell’area ricerca del Centro protesi Inail

Muovere una mano protesica – Le protesi degli arti superiori, fin dagli anni ’60, sono comandate di norma attraverso dei segnali elettromiografici, ovvero segnali elettrici di entità molto piccola che si sviluppano a partire dai muscoli residui sul moncone del paziente fino alla superficie della pelle, rilevati da elettrodi superficiali e successivamente trasformati in movimenti della protesi. Ancora oggi gran parte delle mani artificiali sono in grado di svolgere solo due semplici movimenti: l’apertura e la chiusura della pinza alla sua estremità. «Fino ad ora venivano utilizzati solo i segnali dei muscoli più facilmente rilevabili, ovvero quelli degli estensori e dei flessori del polso», spiega Emanuele Gruppioni, direttore tecnico dell’area ricerca del Centro Inail. La difficoltà maggiore era quella del paziente, che doveva essere in qualche modo “allenato”, dovendo pensare all’estensione o alla flessione del polso per aprire o chiudere la mano protesica. «Una cosa del tutto innaturale», sottolinea.

La rivoluzione dell’AI – Adesso, invece, grazie all’intelligenza artificiale, cambia tutto: è capace di rilevare più segnali elettromiografici e riesce a ricondurli ai movimenti dell’intero arto fantasma. «Questa è una vera e propria rivoluzione – afferma Gruppioni – perché in questo modo c’è una diretta corrispondenza tra ciò che fa la protesi e l’intenzione di movimento del paziente». Il paziente, quindi, per aprire o chiudere la mano protesica deve semplicemente pensare di farlo con la mano fantasma. L’ingegnere non ha dubbi: «è decisamente più semplice e intuitivo». Al momento i ricercatori sono riusciti a classificare correttamente un massimo di 10 azioni della mano e del polso. Il prossimo obiettivo è rendere possibile l’articolazione completa delle singole dita, una nuova prospettiva che farebbe riacquistare alle persone amputate una completa funzionalità della mano.

Le protesi del futuro – In futuro con l’AI si può sperare di andare anche oltre. Le potenzialità inesplorate sono tante: il Centro protesi di Budrio si sta concentrando anche sui feedback sensoriali dalla protesi al paziente. «Al momento – ricorda Gruppioni – l’arto artificiale non restituisce il tatto, la temperatura e il senso della posizione nello spazio. Tutte sensazioni proprie del corpo che le persone perdono con la protesi». Un altro progetto, invece, si sta occupando della creazione di sistemi di supporto alle decisioni con l’AI per la profilazione dei pazienti in relazione alle loro capacità di rientro in ambito sociale e lavorativo. «Un’analisi approfondita – specifica l’ingegnere – per capire quali professioni e lavori siano compatibili con le abilità residue e gli ausili che può fornire il Centro protesi».

Autore

Giada Bertolini

Classe 1995, originaria di Lucca. Ha conseguito la laurea magistrale in Strategie della comunicazione pubblica e politica all’Università degli Studi di Firenze. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo di Perugia.