Un algoritmo contro le malattie rare

Un gruppo di ricerca a Udine si affida all'AI per migliorare diagnosi e cure di patologie quasi mai riconosciute e trattate
Il coordinatore Maurizio Scarpa: «Per il 95% dei pazienti non c’è una terapia. È un progetto urgente e innovativo, ma occorre una normativa al passo con la ricerca scientifica»

Immaginate di salire su un autobus affollato da un centinaio di persone. Statisticamente vi imbatterete in almeno 5 o 6 passeggeri affetti da una delle circa 7 mila patologie riconducibili alla categoria delle malattie rare. Che lo sappiano o meno: perché i pazienti che abbiano ricevuto una corretta e tempestiva diagnosi sono solo i fortunati di un’esigua minoranza. Per provare a invertire l’infelice tendenza, un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia – 5 milioni di euro i fondi destinati – e coordinato dal professor Maurizio Scarpa è impegnato da alcuni mesi per accelerare la diagnosi delle malattie rare valendosi del supporto dell’intelligenza artificiale.

Maurizio Scarpa, direttore del Centro di coordinamento per le malattie rare del Friuli Venezia Giulia

Fare i conti con un’urgenza concreta – «È un progetto che nasce da una necessità reale», spiega Scarpa, direttore del Centro di coordinamento regionale per le malattie rare a Udine. «Queste patologie – prosegue – scontano un ritardo diagnostico intollerabile, una decina d’anni nel migliore dei casi. Ma ci sono anche pazienti che arrivano a 60 o 70 anni prima della diagnosi, mentre il 95% dei malati rari una terapia non ce l’ha proprio». La principale ragione è che le malattie rare, complice anche lo scarso interesse che suscita negli specializzandi l’aggettivo che le definisce, sono trattate solo sommariamente nelle università. E un medico, che nel corso di una carriera può imbattersi anche in 3 mila malattie diverse, tende a diagnosticare solo le patologie che ha studiato e conosce. 

L’AI supporta, non sostituisce i medici – Un’altra complicazione è rappresentata dal fatto che le malattie rare – che sono all’80% genetiche, cioè esistenti alla nascita – spesso condividono i sintomi delle malattie comuni, e dunque il rischio di una diagnosi (e di una terapia) errata aumenta pericolosamente. «Il medico di domani – sostiene il professor Scarpa – dovrà sì avere una perfetta conoscenza delle patologie, ma potrà contare sull’ausilio della tecnologia che tramite specifici algoritmi allo studio oggi lo indirizzerà nella diagnosi». L’imminente installazione di un supercomputer all’interno di un data center dell’università di Udine – che agevolerà l’elaborazione di grandi quantità di dati grazie a sistemi di machine learning (apprendimento automatico) e natural language processing (elaborazione del linguaggio umano) – va precisamente in questa direzione. «L’algoritmo che stiamo progettando – conferma Scarpa – analizzerà i dati di milioni di pazienti e segnalerà con degli alert i sospetti malati rari, che saranno indirizzati a test specifici e non più sottoposti a un’odissea diagnostica».

Scienza e AI alla prova dell’Europa – Ma in un progetto come quello coordinato dal professor Scarpa, in cui raccolta e analisi dei dati sono centrali, una sfida non secondaria è quella tecnologico-legislativa. Perché, denuncia il medico, malgrado la recente approvazione dell’AI Act, che regolamenterà l’intelligenza artificiale a livello europeo, ci potrebbero essere lentezze legislative con effetto sul progresso e sulla ricerca scientifica. «È indispensabile – conclude Scarpa – che la normativa tenga in debito conto l’urgenza diagnostica e terapeutica dei pazienti. Senza rinunciare a trasparenza e rispetto della privacy, è un’occasione troppo importante per lasciarcela sfuggire».

Autore

Enrico D'Amo

Originario di Piacenza, classe 1996. Laureato in Lettere all'Università di Torino. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.