Musica e AI, quando a dirigere l’orchestra è una macchina

Nell’incontro tra intelligenza artificiale generativa e musica, potenzialità pressoché illimitate si scontrano con rischi legati al mondo della produzione e del lavoro
Bruno Ruffilli, giornalista de La Stampa: «Sogno che l’AI venga utilizzata nella distribuzione, per far emergere e circolare musiche che si distinguano dalla massa mediocre»

L’uscita di un nuovo inedito scritto e composto da John Lennon, con voci e musiche originali. Un duetto estremamente orecchiabile di due artisti di successo come Drake e The Weeknd che scala in poco tempo le classifiche di Spotify. A prima vista nulla di stupefacente, se non fosse che l’ultima canzone dei Beatles è stata rilasciata ben 43 anni dopo la morte del cantante dei Fab Four di Liverpool – la cui voce compare invece nel singolo – e che i due cantanti canadesi non si sono mai incontrati e non hanno mai scritto o inciso questo brano. L’uso dell’intelligenza artificiale generativa nel mondo della musica non è più una novità, eppure l’asticella continua ad alzarsi giorno per giorno e le polemiche non accennano a diminuire.

Rischi – Potenzialità pressoché illimitate si scontrano con rischi legati in particolare al mondo della produzione e del settore lavorativo. In primis, il discorso del copyright e dei diritti d’autore. Lo scorso maggio, l’etichetta discografica Universal aveva prontamente chiesto la rimozione da tutte le piattaforme del brano, diventato virale ma artificiale al 100%, frutto della presunta collaborazione tra Drake e The Weeknd. «Questo video non è più disponibile a causa di un reclamo di violazione del copyright», il messaggio che appare a chi si ostina a cercare il filmato online. Ma quello dei diritti d’autore non è che uno dei possibili aspetti negativi. «A livello di qualità, la canzone non era nemmeno male: non eccelle, ma non fa nemmeno schifo, è perfettamente dimenticabile», spiega Bruno Ruffilli, giornalista de La Stampa ed esperto di hi-tech. Il critico mette però in guardia: «Le principali ripercussioni negative si avranno soprattutto nel settore della produzione di colonne sonore per serie, film e documentari vari». Budget al ribasso, tempi stretti e qualità “sacrificabili” potrebbero infatti favorire una predilezione per contenuti creati con l’intelligenza artificiale. A breve si scoprirà se i lavoratori del settore, che rischiano di diventare “superflui” in un mondo di prompt e bit scomposti e riarrangiati, avranno l’occasione di riconvertirsi e trovare nuove mansioni all’interno di questo futuristico orizzonte compositivo.

Prospettive – Come per tutte le innovazioni che si proiettano verso il futuro, non ci sono però solo aspetti negativi. «Oltre che per la creazione, se l’intelligenza artificiale venisse utilizzata secondo certe logiche nella distribuzione si potrebbero fare grandi cose», continua Ruffilli. È infatti inutile lamentarsi dell’appiattimento dell’offerta culturale, se non c’è un’adeguata rete di diffusione: affinché qualcuno scriva, serve che altri ascoltino. «Sogno un utilizzo dell’AI che possa consentire una distribuzione capillare mirata: so che c’è un sacco di musica di molti tipi là fuori che potrebbe piacermi, ma come faccio a trovarla? Ecco che entra in gioco l’algoritmo». A sostegno della sua tesi, i risultati della prima indagine italiana, realizzata da FIMI e Comune di Napoli-Città della Musica, sul rapporto tra musica e AI: indipendentemente dall’età, tutti gli intervistati ascoltano la musica principalmente tramite smartphone e app musicali, che sia Spotify, Amazon Music o YouTube. A influenzare le scelte, soprattutto le hit di tendenza e i consigli delle piattaforme: «Si tratta di una risorsa unica: l’AI dovrebbe servire proprio a portare alla luce un’offerta personalizzata, facendo emergere la qualità dalla massa di prodotti mediocri».

Sinfonie (non più) incompiute – L’utilizzo dell’intelligenza artificiale sembra quindi non avere limiti. È possibile completare sinfonie lasciate incompiute secoli fa, o dare vita a canzoni di band che si sono ormai sciolte. Una domanda sorge però a questo punto spontanea: dov’è il limite? Secondo Ruffilli, è necessario tracciare un confine etico che non può essere varcato: «La regola – spiega – deve necessariamente essere il rispetto della volontà dell’artista». E allora il fatto che Beethoven abbia lasciato ai posteri svariati appunti e ipotesi di accordi e note relative alla sua Decima Sinfonia legittima il lavoro di conclusione di quella che ormai, forse, non potrà più essere chiamata “l’incompiuta”. «Certo, il confine tra liceità e appropriazione è molto sottile: siamo solo all’inizio – conclude – ma di sicuro se ne continuerà a discutere a lungo».

Autore

Teresa Fallavollita

Nata a Perugia il 29/02/1996 e laureata in Scienze Politiche e Storia all'Università degli Studi di Bologna. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.