«Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima». Si legge dappertutto in questi giorni la citazione di Cristina Torres-Cáceres, attivista femminista peruviana. Sui muri, sui social, sui cartelloni: non ti può lasciare indifferente. Lo scorso 25 novembre, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, centinaia di migliaia di persone sono scese in strada per manifestare in tutta Italia. Nelle loro menti l’immagine di Giulia Cecchettin e quelle di tante altre, oltre cento solo quest’anno, che dovevano essere le ultime, ma ultime non lo sono state. Dopo il femminicidio di Giulia molte donne hanno trovato il coraggio di abbattere il muro del silenzio. Le richieste d’aiuto all’help desk nazionale 1522 in pochi giorni sono raddoppiate: «Dalle 200 telefonate quotidiane si è arrivati alle 400» racconta Arianna Gentili, responsabile del servizio. Ad essere aumentati, secondo l’ultimo rapporto Istat, sono anche i centri antiviolenza: 385 in totale nel 2022 (+3,2% sul 2021). In Umbria sono 11 e accolgono ogni anno centinaia di donne in difficoltà.
Un faro nella notte – «La nostra non è una semplice assistenza. Noi accompagniamo le donne in un percorso di autodeterminazione. Le aiutiamo a recuperare la loro autonomia, la loro indipendenza». Lo ribadisce subito Ambra Zazzera, rappresentante del centro antiviolenza di Ponte Pattoli (Pg), gestito dall’Associazione umbra «Libera…Mente Donna». Soltanto quest’anno la sua struttura ha ricevuto 135 nuovi casi, vittime di violenza, nella maggior parte di carattere fisico, psicologico e, talvolta, economico. «Le donne – rassicura Zazzera – possono rivolgersi a noi su base volontaria, non servono denunce per accedere al servizio. A volte esitano a contattarci perché temono di dover sporgere querela e che questo possa comportare difficoltà: alcune di loro – specifica – hanno dei figli e hanno paura che entrino in gioco i servizi sociali». Il libero accesso alla struttura non è soltanto una possibilità, ma costituisce, secondo la rappresentante di Libera… Mente Donna, «un ariete in grado di abbattere quel muro di diffidenza che spesso circonda le vittime».
Le risorse del centro – Oltre ad avere un numero telefonico sempre attivo e un contatto Whatsapp, il centro svolge attività di accoglienza e di sensibilizzazione. Anche qui lavora una squadra variegata di psicologhe, antropologhe, mediatrici culturali, assistenti sociali e legali, con l’obiettivo di fornire un’assistenza completa e mirata. Per le donne bisognose, ci sono anche delle case rifugio, che possono utilizzare con i loro bambini in attesa di una maggiore stabilità.
Tempo trascorso tra la violenza subita e il contatto del Centro di Mike 333Le soluzioni – L’aiuto dei centri, per quanto imprescindibile, non è sufficiente. «La cultura patriarcale – denuncia Zazzera – alla base dei fenomeni di violenza è sbagliata e dobbiamo cambiarla. Per riuscirci è fondamentale ripartire dalle scuole, ogni anno ci proviamo con nuove iniziative, ma mancano del tutto dei progetti condivisi. Ogni dirigente scolastico decide per il proprio istituto». Nello scorso anno quasi il 60% (dati Istat) delle vittime di violenza ha dichiarato di non aver denunciato per anni i soprusi subiti. Rendere il fenomeno più visibile, discuterne, facilitare ulteriormente l’accesso ai servizi antiviolenza sono passaggi necessari per aiutare le donne a uscire dalla paura e demolire, così, il muro del silenzio.