Violenza sulle donne, rovesciare il paradigma: quando è l’uomo a dover affrontare un percorso

A Perugia, l'associazione Margot segue gli uomini maltrattanti impegnati in un percorso psicoterapeutico e di rieducazione di genere
Lo psicologo De Salvo: «Quasi mai casi psichiatrici, ma sono frutto di un sistema di stereotipi: non si riconosce l'identità della donna»

Una tipo di violenza trasversale, che va dalla molestie allo stalking, dalla violenza sessuale al femminicidio. Ormai tutti conosciamo il fenomeno della violenza di genere: ma quali strumenti abbiamo per combatterla? Non esistono “colpevoli tipo”: gli uomini maltrattanti non hanno tutti la stessa età, non appartengono tutti a una stessa etnia o a uno stesso credo, né condividono lo stesso status sociale. L’unica cosa che li accomuna è una visione della donna dominata da stereotipi ben radicati: estirparli è uno degli obiettivi dello sportello d’ascolto per uomini maltrattanti che l’associazione Margot gestisce dal 2016 a Perugia.

Il percorso – Lo sportello funziona così: c’è un incontro di prima accoglienza, cui segue un indirizzamento verso uno specifico percorso individuale e alla conclusione del percorso c’è un controllo finale per capire come l’uomo è cambiato tra il primo e l’ultimo incontro. Ma lo sportello funziona? A spiegarlo è Francesco De Salvo, psicoterapeuta e responsabile scientifico di Margot. «A livello nazionale, il Ministero dell’Interno – dice De Salvo – mostra una tasso di recidiva solo del 5% per chi segue percorsi psicologici frequentando CUAV (centri per uomini autori di violenza, ndr), sportelli come il nostro o altri progetti che mirino a un reinserimento in società». Diverso è il discorso per chi viene sottoposto solo a misure detentive, che siano carceri o domiciliari, che tuttora non prevedono percorsi psicologici, che pure sarebbero necessari : «si tratta di persone che non hanno vissuto un “recupero”, ma che hanno solo pagato il loro debito con la giustizia – spiega De Salvo – tornano a piede libero persone che non hanno potuto affrontare il problema alla radice».  

I problemi – Per quanto ci siano dati molto incoraggianti riguardo ai Cuav, non mancano alcune criticità, a partire dalla diffusione di queste strutture. Margot nel 2016 è stata la prima in Umbria a proporre un percorso di recupero per uomini maltrattanti, ma solo lo scorso marzo il Comune di Perugia ha avviato le pratiche per aprire un centro di ascolto e recupero degli uomini violenti. Molte associazioni poi, come la stessa Margot, operano pro bono e soffrono di problemi di risorse e personale. «Anche le relazioni finali – conclude De Salvo – sono una criticità importante. Secondo un accordo del 2022, ai Cuav non viene richiesta una relazione specifica sulla riabilitazione, ma solo sul corretto svolgimento del percorso». Un limite rispetto alla verifica clinica, «anche se dall’altra parte ci sono evidenze di un abbattimento quasi totale delle ricadute».

«Tu sei mia» – L’uomo maltrattante «non riesce ad accettare che la donna abbia una sua identità» dice De Salvo. Non si tratta solo di gelosia o semplicemente di cultura del possesso, ma c’è una potente idea di rifiuto dei desideri e delle caratteristiche personali della propria compagna o fidanzata. Come se non fosse un individuo indipendente, ma una sorta di appendice: «Non c’è riconoscimento né della donna, né delle proprie azioni: le persone che si rivolgono a noi non si sentono responsabili e non sono consapevoli dei propri comportamenti». La donna vittima, intanto, rischia di veder svanire la propria identità, in parte per paura, in parte perché manipolata dal compagno maltrattante.

Non sono persone malate – «Il percorso che seguono gli uomini che si rivolgono al nostro sportello non è solo clinico, ma di educazione di genere». Spiega ancora De Salvo: «Solo il 10% delle persone che seguiamo, 25 nell’ultimo anno, è affetto da una patologia psichiatrica». Questo significa che la maggior parte degli uomini non segue un percorso farmacologico e psichiatrico. «La maggior parte non sono persone malate. La violenza di genere – spiega – non è specifica, propria di una sola classe di età o di un particolare status sociale, perché siamo tutti immersi in un macrosistema che ci propina stereotipi praticamente fin dalla nascita».

Autore

admin

Nato a Roma il 18 maggio 2000. Laureato in Scienze politiche, triennale. Praticante alla Scuola di Giornalismo di Perugia