Clima, il peso insostenibile della carne

Per l'ONU gli allevamenti producono il 24% delle emissioni globali. La FAO: il consumo attuale non è più sostenibile
L’Università di Oxford: «Chi adotta una dieta vegana emette il 75% in meno di gas serra rispetto a una persona onnivora che mangia 100 grammi di carne a settimana»

Sono anni che sentiamo parlare di scioglimento dei ghiacciai, con immagini di scheletrici orsi polari in bilico su lastre di ghiaccio sempre più sottili, desertificazione e innalzamento del livello del mare. Ma quelle che un tempo apparivano vaghe minacce lontane nel tempo e nello spazio, anno dopo anno sono diventate prove evidenti e ormai difficilmente ignorabili.
La crisi climatica e ambientale è sotto agli occhi di tutti: secondo l’IPCC, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, «è necessario adoperarsi attivamente per cercare di invertire rotta prima che per il pianeta, già inevitabilmente compromesso, sia troppo tardi». Ma se l’uso dei combustibili fossili e l’abbattimento delle foreste, tra le principali cause dei cambiamenti climatici, sembrano sfuggire al controllo diretto del singolo cittadino, anche le scelte individuali possono avere un loro peso. A partire da un’alimentazione sostenibile.

Alimentazione insostenibileIl cibo gioca un ruolo centrale come non mai: oltre a incidere direttamente sulla salute dell’uomo, ha un impatto profondo sulla sostenibilità ambientale. Quella legata all’alimentazione è una delle sfide maggiori che l’umanità si trova ad affrontare. Non solo per garantire a una popolazione mondiale che raggiungerà i 10 miliardi entro il 2050 un’alimentazione adeguata, ma anche per far sì che i sistemi alimentari non siano a loro volta insostenibili. Tutto quello che mangiamo ha un impatto ambientale, dalla produzione alla distribuzione, fino allo smaltimento. Eppure, tutti gli ultimi report scientifici come quello dell’Università di Oxford guidato dal professor Peter Scarborough evidenziano una netta distinzione: «Chi adotta una dieta vegana emette il 75% in meno di gas serra rispetto a una persona onnivora che mangia 100 grammi di carne a settimana». Non solo: «Il settore degli allevamenti è strettamente collegato a problemi di degrado del suolo, cambiamenti climatici e inquinamento dell’aria, utilizzo e inquinamento dell’acqua e perdita della biodiversità», riporta il documento “Livestock’s Long Shadow” della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

Un po’ di dati – Veniamo ai numeri: secondo la stima dell’IPCC, agricoltura, allevamento e deforestazione sono la causa del 24% delle emissioni totali. La FAO specifica che gli allevamenti, in particolare di bovini, produrrebbero da soli il 14% dei gas serra. Ci sono altri fattori che rendono la dieta a base di carne, soprattutto in dosi massicce, non più sostenibile: ad esempio, gli allevamenti occupano il 26% di tutte le terre emerse, compresi i ghiacciai (pari a circa 1/3 della superficie arabile del pianeta). A ciò si aggiungono questioni come i rischi legati alla contaminazione delle falde acquifere e all’utilizzo di fertilizzanti.

Non esiste un impatto zero – Se la scelta vegetale ha un impatto ambientale nettamente inferiore, può essere considerata completamente priva di danni? La risposta è ovviamente no. Ad esempio, non si può ignorare il fatto che spesso gli alimenti consumati in una dieta vegana provengono da altri continenti: il loro trasporto, quindi, incide a livello di emissioni e inquinamento. Inoltre, questo spesso implica un mancato rispetto della stagionalità dei prodotti. Un’altra critica che viene generalmente mossa contro la scelta plant based è quella relativa al consumo d’acqua. Ma se è vero che per produrre 1 kg di soia ci vogliono 2.000 litri d’acqua, contro i 1.910 litri per il riso e i 900 per il grano, è anche vero che sono comunque numeri di molto inferiori a quelli impiegati nella produzione di alimenti di origine animale. Non solo: circa il 90% della soia coltivata nel mondo non è attualmente destinata al nutrimento delle persone, ma proprio agli allevamenti.

Verso una dieta della salute planetaria Risulta quindi evidente che l’impatto dell’uomo, a partire dal piano dell’alimentazione, non è mai azzerabile: l’unica via praticabile resta quella di cercare di ridurne le conseguenze. Le conclusioni della quasi totalità degli studi in merito, dalla Commissione Eat della prestigiosa rivista scientifica Lancet, alle autorevoli ricerche dell’Università di Oxford, arrivano alla stessa conclusione: «Entro il 2050, in linea con il tentativo di soddisfare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, l’intento deve essere quello di raggiungere una dieta della salute planetaria, ossia un modello di alimentazione che garantisca la salute della civiltà umana e lo stato dei sistemi naturali da cui dipende».

Autore

Teresa Fallavollita

Nata a Perugia il 29/02/1996 e laureata in Scienze Politiche e Storia all'Università degli Studi di Bologna. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.