«Una donna che inizia un percorso con un centro antiviolenza vuole superare un trauma, ma spesso deve anche trovare casa e lavoro». Veronica Baldoni da due anni lavora al centro Medusa di Città di Castello, uno dei 5 in Umbria gestito dall’associazione Liberamente Donna. A fine novembre contano 38 donne accolte, 530 chiamate di aiuto e 270 colloqui: un dato in linea con quello regionale, anche se non tiene conto di chi non vuole o non riesce a denunciare. Veronica ci spiega che le persone che accolgono spesso hanno perso il lavoro a seguito delle violenze subite: «È un tema di cui non si parla molto, ma la violenza economica è un forte deterrente quando si deve chiedere aiuto». Per questo l’autonomia delle donne passa anche e soprattutto attraverso l’attività lavorativa. «Riappropriarsi di questa indipendenza è parte del percorso di uscita dalla violenza», spiega ancora Veronica.
La genesi del progetto – L’accordo firmato a inizio novembre a Città di Castello tra il Comune, il centro antiviolenza Medusa, i sindacati confederali, Arpal Umbria e Confindustria Alto Tevere va proprio in questa direzione. Pensato per essere operativo a partire dall’inizio del 2024, va a colmare un vuoto legislativo su cui si dibatte da molti mesi. Da oltre un anno, infatti, è ferma in Commissione alla Camera una proposta di legge sull’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza. Si tratta di una modifica alla legge n.68 del 1999 che norma il diritto al lavoro dei disabili, dove la deputata Anna Ascani ha chiesto di inserire anche le donne abusate tra le categorie protette. Ma dove non arriva ancora la legge nazionale arriva l’accordo di Città di Castello: il protocollo favorirà concretamente l’inserimento occupazionale delle donne che subiscono maltrattamenti. «Abbiamo organizzato un tavolo di lavoro a fine 2022 per affrontare quella che riteniamo una piaga sociale e successivamente è emerso questo accordo», spiega Letizia Guerri, assessora di Città di Castello con delega alle pari opportunità: «Le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza spesso sono anche donne con figli che hanno perso il lavoro a causa delle violenze subite. Il lavoro è dignità per tutti, ancor più per chi è in difficoltà».
Come funzionerà – Il centro antiviolenza farà da primo filtro: segnalerà i casi critici al Comune, che si confronterà con l’agenzia per le politiche attive del lavoro per incrociare al meglio domanda e offerta. Confindustria e sindacati dovranno invece sensibilizzare le imprese ad accogliere le lavoratrici. Spiega ancora Veronica Baldoni: «È un accordo essenziale per noi che lavoriamo tutti i giorni sul territorio: questo è un modo per agire in senso pratico che non punta solo all’assistenzialismo ma vuole far tornare le donne protagoniste della loro stessa vita». Conclude Letizia Guerri: «È anche un modo per porre al centro dell’attenzione che una delle forme di oppressione più impattante è quella economica».