Piogge e terremoti come fattori scatenanti, consumo di suolo e mancata cura del territorio come elementi di rischio. A volte i margini di azione sono bassissimi, come per le alluvioni di Cantiano e Pietralunga. «Nel settembre 2022 – racconta Michele Santangelo, ricercatore Irpi – caddero 400 millimetri di pioggia in poche ore, con un’intensità che nemmeno i tifoni raggiungono». Ma qualcosa, comunque, si può fare, e con il 100% dei comuni umbri che presenta zone con un rischio frane elevato, conoscere il fenomeno è fondamentale.
Una regione all’avanguardia – Quando, sull’onda dell’alluvione di Firenze, il Cnr decise di fondare tre istituti specifici sul dissesto, la scelta per il Centro Italia ricadde su Perugia. Era il 1970, e gli studiosi del neonato Irpi – Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica – iniziarono a registrare e catalogare ogni evento franoso. Sul finire degli anni Ottanta furono così in grado di realizzare una delle prime carte regionali d’Italia, che ne aveva mappati 5.300.
Come funzionano le frane – Un lavoro che il Cnr continua a fare anche oggi, con censimenti che aiutano a individuare i pericoli. «Il rischio – spiega Michele Santangelo, ricercatore dell’Irpi – mette insieme due aspetti: lo stato della natura, ossia la pericolosità in sé dell’evento, e la presenza o meno di beni esposti, compresa la vita umana». Una frana, racconta, si classifica in base alla velocità. Se quelle lente sono più prevedibili, quando sono rapide «il tempo per spostarsi è molto limitato, quindi sono dei killer più efficaci». Precipitazioni estreme, sempre più frequenti, possono innescarle più facilmente.
Le alluvioni – Piogge che sono alla base dell’altra faccia della medaglia del dissesto idrogeologico: le alluvioni. Nel comune di Foligno più di metà della popolazione è esposta al rischio, alto anche a Spoleto, Bastia e Assisi. Rinsaldare gli argini, costruire vasche di laminazione – ossia enormi serbatoi dove raccogliere le acque che scorrono quando piove – senza scordare la manutenzione ordinaria. Intervengono così i consorzi di bonifica, che adesso hanno a disposizione anche i fondi Pnrr, come nel caso del fiume Nera.
L’elemento umano – Alla base, però, resta sempre l’esigenza di mantenere permeabile il terreno: consumare suolo è come darsi la zappa sui piedi. «Le precipitazioni non vengono più assorbite – spiega Santangelo – l’acqua defluisce in superficie e causa quindi fenomeni di erosione, che a Cantiano per esempio erano molto diffusi». Ci sono aree, poi, che andrebbero lasciate alla natura, come le aree di valle – la zona industriale Pietralunga è tra queste – dove scorrono i fiumi, che nel tempo «prima o poi si riprendono i loro spazi».
Rispettare il territorio – Conoscere e riconoscere i limiti, dunque, partendo dallo studio: «È importante – conclude Santangelo – osservare bene il territorio: è geologicamente giovane e in costante evoluzione, quindi è molto fragile. Dobbiamo imparare a conviverci e a rispettare le sue dinamiche».