ChatGPT non ha (ancora) cambiato nulla. Quantomeno quando si parla di traduzione automatica. La nuova frontiera della tecnologia si aggiunge ma non potrà sostituire così presto i software che già da decenni aiutano i traduttori professionisti a lavorare. Anzi, rischia di diventare un modo semplice e veloce per avere prodotti di scarsa qualità (per ora).
Dagli anni ’80 la traduzione è assistita – «Quando lavoravo per il Parlamento Europeo (tra il ’97 e il 2002, ndr) già usavo la traduzione automatica», spiega Gabriella Bacchelli, professoressa di Tecnologie avanzate per la traduzione e l’interpretazione all’Università di Trieste. Programmi di questo genere già allora non erano una novità: «La traduzione assistita – racconta – è nata negli anni ’80». Si tratta dei sistemi di CAT, ovvero Computer-Assisted Translation. Sono software in grado di velocizzare il lavoro del traduttore, e vanno dai dizionari online alle cosiddette ‘memorie di traduzione’ personalizzate, ovvero frasi già tradotte, solitamente espressioni frequenti, utili per chi lavora su testi specialistici come quelli giuridici. Poi è arrivata la Machine Translation, la traduzione automatica. Quella resa popolare da Google Traduttore, per intenderci, inizialmente basata su valutazioni statistiche semplici. Ed è per questo che, anche se è stato lo strumento che ha democratizzato il processo traduttivo, Translate negli anni ha anche prodotto alcuni degli strafalcioni linguistici più divertenti della storia.
La frontiera: tra traduzione neurale e ‘intelligente’ – Oggi la traduzione automatica ha raggiunto livelli qualitativi molto alti. Buona parte dei software utilizza una rete neurale artificiale per prevedere la probabilità di una sequenza di parole, ma ora è entrata in gioco anche l’intelligenza artificiale. «Mentre la traduzione neurale avviene frase per frase, quella che usa i modelli linguistici di grandi dimensioni su cui si basano sistemi come ChatGPT prende in considerazione un contesto più ampio», afferma Bacchelli. «Se da un lato è utile che il programma conosca due frasi prima e due frasi dopo quella che si sta traducendo – riflette – non so quanto abbia senso che abbia al suo interno così tante informazioni e tipi di testo diversi. Alla fine, un chatbot deve fare tante cose diverse, e la traduzione è solo una di queste». Insomma, ci sono cose che un’intelligenza artificiale ancora non sa fare, e tra queste c’è la traduzione di alta qualità. Dall’altro lato, però, oggi può già essere usata per aiutare l’essere umano anche in questo campo. «MateCAT, un famoso sistema di traduzione assistita, sta impiegando GPT per creare definizioni delle parole nei testi, e questo è molto d’aiuto», continua la professoressa.
Cosa vogliono le imprese – Il lavoro di traduttori e interpreti negli ultimi decenni è inevitabilmente cambiato, e lo sta facendo ancora. «Lo stesso cliente a volte chiede all’esperto di usare un tool automatico», racconta la docente. «La realtà – aggiunge – è che molte traduzioni richieste dalle aziende sono di qualità non molto alta. Ci sono cose per cui non c’è bisogno dell’aspetto umano, altre per cui invece è necessario, come per i testi letterari e creativi». In ogni caso resta importante il momento del post-editing, ovvero la correzione finale del testo, oggi sempre più procrastinata.
L’interprete del futuro – Solo qualche mese fa il Festival del Giornalismo di Perugia ha adottato uno degli ultimi prodigi della traduzione automatica, un’app che permetteva di ascoltare qualsiasi conferenza nella propria lingua in diretta e senza l’uso dell’interprete. Una possibilità che ridurrebbe sensibilmente i costi di chi organizza gli eventi, ma che mette in crisi chi opera nel settore delle traduzioni. Basta così poco, arrivati a questo livello di innovazione tecnologica, per sostituire completamente la figura dell’interprete, che dunque resta utile soltanto in contesti più delicati come quelli diplomatici e giuridici. L’intelligenza artificiale riesce già a trascrivere un testo, tradurlo e riprodurlo in formato audio a una velocità pari (se non superiore) a quella di un umano. Ciò significa che tantissime persone potrebbero presto perdere il proprio posto di lavoro.
Bisogna diventare linguisti computazionali? – Una delle possibili strade per i linguisti diventa perciò quella di “passare al lato oscuro”, per così dire, diventando addestratori delle intelligenze artificiali e degli strumenti di traduzione automatica. «Ancora oggi però tra gli studenti ci sono delle grosse lacune informatiche», dice Bacchelli. «Io ho cominciato a interessarmi a queste nuove tecnologie nel 2000. Ho lavorato anche per Reverso, che un po’ si occupa di IA, e avere le competenze di base mi ha aiutata ad avere un buon rapporto professionale con gli sviluppatori. Oggi cerco di gettare più semi possibili con i miei studenti – conclude – perché penso davvero che questo possa essere un ottimo sbocco lavorativo: qualcuno li raccoglie e segue un percorso simile al mio, altri invece scelgono altro».