Dal Medioevo ad oggi: la tessitura a mano resiste grazie a quattro generazioni di donne

L'Atelier-Museo "Giuditta Brozzetti" dal 1921 produce artigianalmente i "pannili alla peroscina" come si faceva nel XII secolo: con antichi telai e moderna passione
Marta Cucchia, pronipote della fondatrice: «Siamo tra i pochi artigiani rimasti in questo settore. Volevo fare l'arredatrice, ma non potevo interrompere questa saga familiare al femminile»

«Ormai di fatto a mano non c’è più niente. Artigianato, al giorno d’oggi, vuol dire solo prodotto in un’azienda che ha meno di 18 dipendenti». Marta Cucchia, minuta ma energica titolare del Museo-Atelier “Giuditta Brozzetti”, rivendica che quello ereditato dalla bisnonna, alla quale il laboratorio è intitolato, è uno degli ultimi presidi di tessitura a mano in Italia.

Giuditta, esempio di emancipazione a inizio Novecento – L’apertura dell’attività risale al lontano 1921, ma è durante la Prima Guerra Mondiale che Giuditta Brozzetti (1877-1975), all’epoca direttrice delle scuole elementari, riscopre la tradizione artigianale tessile perugina. Risalente al XII secolo, all’epoca era ancora viva e veniva tramandata oralmente nelle campagne. Giuditta inizia così a raccogliere i tessuti realizzati nelle case contadine e ad esporli al mercato di Corso Vannucci, quindi si iscrive all’Albo degli Artigiani e, finito il conflitto, apre il suo laboratorio al n° 24 della centralissima via Baglioni. Come l’amica e coetanea Luisa Spagnoli, è un esempio di emancipazione e una donna dallo spiccato spirito imprenditoriale. «Lanciandosi in questa avventura – sottolinea Marta – la mia bisnonna non stava solo ridando vita a una gloriosa tradizione di artigianato locale: stava, anche e soprattutto, garantendo uno stipendio e un’opportunità di autonomia economica a decine di donne».

Tenere viva una tradizione plurisecolare – L’Atelier, che oggi ha sede nella suggestiva chiesa di San Francesco delle Donne, dal 2004 fa parte del Sistema museale dell’Umbria. «Trovare un mercato per i nostri prodotti, e con le nostre fasce di prezzo, non è stato semplice», ammette Marta, confessando che le sue creazioni sono apprezzate e acquistate soprattutto da stranieri residenti in Italia. «Con gli anni abbiamo capito che la cosa migliore era fare entrare i clienti nel laboratorio – spiega Marta – fargli capire perché abbiamo scelto di portare avanti una tradizione che, per quanto antica e prestigiosa, è pressoché obsoleta fuori dalle mura di questo laboratorio». Mentre in sottofondo echeggia il rumore dei pedali dei telai ottocenteschi che affollano la sua officina, Marta ci racconta che il segreto per riprodurre i motivi che ornano i tradizionali pannili alla peroscina – soprattutto grifi, draghi e leoni – è di utilizzare telai con fino a dodici pedali. «Qui abbiamo lo Jacquard, brevettato in Italia nel 1836. Un tempo per eseguire un disegno complesso sarebbero serviti tre tessitori, con lo Jacquard ne basta uno che aziona il macchinario».

Quattro generazioni di donne e un futuro da scrivere – In più di un secolo, la passione per l’arte della tessitura a mano si è tramandata di madre in figlia, ognuna caratterizzando la produzione secondo le proprie vocazioni e i propri studi. Eleonora, figlia di Giuditta, rilevò il laboratorio negli anni Cinquanta e ampliò l’attività creando una linea di abbigliamento. La figlia Clara, appassionata di storia e iconografia, si è dedicata alla ricerca e allo studio di esemplari di tovaglie perugine in pittura e in documenti storici. E’ una tovaglia perugina – bianca con motivi geometrici blu – quella apparecchiata sulla mensa dell’Ultima cena di Leonardo, come emblematica è la citazione di «tovaglie e pannili perugini» nell’inventario della dote di Caterina de’ Medici, andata in sposa a Enrico II di Francia. Marta, interior designer di formazione, si è convertita all’arte tessile quando la madre ha paventato l’idea di chiudere l’attività: «Mi sono resa conto che avremmo perso molto di più di un’impresa familiare al femminile, quindi ho deciso di imparare a tessere. Un errore catastrofico – scherza Marta – o forse no. Oggi sono in società con due ragazze francesi a cui sto insegnando il mestiere: speriamo che loro o qualcuno tra i mei nipoti raccolga il testimone».

Autore

Enrico D'Amo

Originario di Piacenza, classe 1996. Laureato in Lettere all'Università di Torino. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.