Fine vita mai: il lungo dibattito sull’eutanasia

Al Festival internazionale del giornalismo l’incontro “L’ultimo viaggio (verso il fine vita)”: l’immobilismo delle norme si scontra con le volontà e le storie dei singoli
La bioeticista Chiara Lalli: “Dovremmo ascoltare più le persone, invece di parlare e decidere al posto loro”

«Lasciatemi morire» scriveva Piero Welby in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, ormai 17 anni fa. Welby, affetto da distrofia muscolare, viveva attaccato a un respiratore artificiale dal 1997, da quasi dieci anni. «Morire mi fa orrore – continuava la lettera – purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio». In un corpo che non rispondeva più alla sua volontà, Welby rivendicava la sua libertà di scelta, e quindi anche di morire. “Il pioniere delle battaglie per il fine vita”, è stato definito. Ma si tratta soltanto di uno, sebbene tra i più noti, dei tanti nomi tra coloro che in Italia rivendicano il proprio diritto all’autodeterminazione, a scegliere per la propria vita.

Immobilismo legislativo – Eppure, nonostante il tema occupi ormai una posizione centrale all’interno del dibatto pubblico, il quadro legislativo è ancora pressoché immobile. In Italia, l’aiuto al suicidio è legalmente possibile laddove vengano rispettati precisi requisiti: la persona malata che ne fa richiesta deve essere affetta da una patologia irreversibile, deve essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli e, infine, deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Tale quadro legislativo, per i sostenitori della battaglia sul fine vita ancora ampiamente insufficiente, è stato faticosamente modellato negli anni a partire dalle storie e dalle richieste concrete di aver diritto a una vita (e quindi a una morte) dignitosa, da Welby a Fabio Antoniani, da “Mario” a Federico, dalla disobbedienza civile di Cappato e dei Radicali alla sentenza 242 della Corte costituzionale del 2019. La strada resta però ancora lunga, con l’ultimo stop della Consulta che nel febbraio 2022 ha dichiarato inammissibile il quesito referendario sull’eutanasia.

Il dibattito sul fine vita – Quello sull’eutanasia è uno dei fronti di discussione più accesi e ancora polarizzanti. Come spesso accade per questioni che possono avere implicazioni nel campo della morale, come il caso dell’aborto, la componente religiosa ha un forte impatto: come conciliare il concetto di bene sul piano etico con il giusto del piano giuridico? Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per rispondere alla domanda si concentra su una peculiare concezione di libertà. In particolare, sottolinea le profonde relazioni che legano gli individui tra loro: di conseguenza, anche la stessa libertà dovrà essere subordinata ai legami circostanti.
«L’autodeterminazione è fondamentale – spiega – ma allo stesso tempo non è assoluta: è sempre relativa a quella degli altri». Secondo questa logica, quindi, la richiesta del suicidio assistito sarebbe una scelta immorale, anche perché non terrebbe conto dell’impatto di questa decisione sulle persone che restano in vita: «Per quanto riguarda le decisioni sul morire – spiega – accentuare l’autodeterminazione porta a sottostimare le relazioni tra individui».

Libertà di scelta al centro – «Le decisioni sono sì fondamentali – è la replica di Chiara Lalli, bioeticista e autrice del podcast “Sei stato felice?” sulla storia di Welby – ma necessariamente non relazionali: al contrario, l’unica che conta è la decisione del singolo». Libertà e scelta sono le due parole chiave del dibattito. Eppure, se questi termini erano già comparsi nei discorsi del fronte contrario all’eutanasia, per i favorevoli assumono un significato diametralmente opposto, liberandosi della loro implicazione morale e rimettendo al centro la volontà dell’individuo. «Si può (e deve) chiedere alle persone cosa desiderano, ma poi questo desiderio deve essere rispettato, altrimenti diventa un’imposizione paternalistica», conclude Lalli. Il pensiero alla base, che fa leva sulla stessa Costituzione (Art. 32), è estremamente semplice: ognuno ha il diritto di scegliere e la sua dev’essere l’ultima parola nel dibattito; l’esercizio “massimo” della libertà di scelta significa che chiunque deve poter dire: «Non ce la faccio più», venendo ascoltato e sostenuto.

Autore

Teresa Fallavollita

Nata a Perugia il 29/02/1996 e laureata in Scienze Politiche e Storia all'Università degli Studi di Bologna. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.