Cibo e inclusione: l’inarrestabile successo di Numero Zero

Il progetto di inserimento per pazienti psichiatrici dell'Associazione Città del Sole combatte un tabù: perché chi soffre di salute mentale spesso si convince di essere diverso e si auto-emargina
La proprietaria Vittoria Ferdinandi: «La cosa meravigliosa è che ad offrire questo servizio alla comunità sono coloro che quest'ultima non ha mai considerato. L’obiettivo è far uscire chiunque dal ristorante con delle domande»

«Quando si passa questa porta, si entra in un bosco fatato, sembra di stare alla Disney», dice Costanza, una dipendente di Numero Zero, «vedere dei ragazzi con delle problematiche lavorare duramente non è una cosa da tutti i giorni». A prima vista, questo sembra un locale come gli altri: in realtà è un posto speciale, dove ci si sente accolti come da poche altre parti. É il primo ristorante inclusivo dell’Umbria, un progetto di inserimento lavorativo per i pazienti psichiatrici promosso dall’Associazione Città del Sole: il 60% dello staff è composto da persone che soffrono di disturbi mentali.

L’incredulità di sentirsi apprezzati – «Ciò che più mi ha colpita all’inizio di questa avventura erano gli sguardi di incredulità dei ragazzi durante i colloqui iniziali, perché ci ascoltavamo considerandoli persone capaci di entrare nel mondo del lavoro»: a parlare è Vittoria Ferdinandi, ideatrice del progetto e proprietaria del ristorante. I pazienti psichiatrici sperimentano quotidianamente l’esclusione e la diffidenza: il fatto di essere diversi e dover rinunciare ad alcune aree di vita si trasforma in un auto-stigma, a cui finiscono per credere. Lo confermano le loro storie: «La mia paura più grande era di non essere capace di stare in mezzo ai clienti, perché nei miei lavori precedenti sono stato emarginato per il fatto di essere seguito da medici psichiatri. Qui invece mi sento libero», racconta Daniel, mentre assapora un bignè alla crema avvoltonella sua pelliccia leopardata. A Numero Zero sta così bene che ci viene anche quando non è di turno, per prendere un dolce dopo cena e fare due chiacchiere con i colleghi, ormai diventati amici.

L’idea vincente – Lavorare, per i pazienti psichiatrici, spesso significa trascorrere ore chiusi in uffici o archivi. Quello che ha reso Numero Zero un progetto straordinario, invece, è proprio aver messo i pazienti psichiatrici a contatto con il pubblico. L’esperienza nel ristorante da una parte è intervenuta sulla comunità, per educarla alla diversità e a costruire uno sguardo meno diffidente verso la malattia mentale. Dall’altra, ha permesso ai ragazzi di rinsaldare il proprio ruolo nella società e sentirsi sostenuti da una rete di relazioni. 

Lo scoglio iniziale – La difficoltà iniziale dei protagonisti del progetto, nato nel 2018, è stata superare questo stigma interno: «Tutti si approcciavano al lavoro col terrore di non essere all’altezza» racconta ancora Vittoria, che di lavoro fa la psicologa clinica. «Hanno dovuto mettere in campo un grande coraggio per smentire ciò che la società rimandava loro dall’esterno». All’inizio, la sfida più grande è stata accogliere il cliente e stare a contatto con le persone, perché i dipendenti temevano il loro giudizio. C’è stato un grande lavoro nel seguirli, cercando di creare un clima accogliente che rispettasse le diversità di ciascuno. Nei primi mesi, erano affiancati da professionisti della ristorazione, quasi uno a uno. «L’elemento fondamentale è la profezia che si autoavvera – sottolinea Vittoria – quando qualcuno crede fortemente in te, poi quella fiducia si realizza. Guardandoli, si ha la sensazione che progetti del genere siano di un valore inestimabile». Questo valore si vede nei loro occhi, quando raccontano fieri i loro percorsi personali: c’è chi ha iniziato lavorando a testa bassa e ora è indispensabile per accogliere i clienti, chi ha superato la difficoltà di memorizzare i tavoli o quella di aprire le bottiglie, facendone il proprio punto di forza.

Uscire da qui con delle domande – Sull’accoglienza al cliente, racconta ancora Vittoria, nel tempo «sono diventati stratosferici. Era una cosa che li spaventava ma ora l’attenzione e cura al cliente è uno dei loro elementi di forza maggiore». Chi esce dal locale, spesso ammette di non essersi mai sentito così a casa: la sensazione è di essere riempiti di attenzioni come difficilmente accade nel mondo fuori. «La cosa meravigliosa è che ad offrire questo alla comunità sono proprio coloro che non sono mai stati considerati da quest’ultima. L’obiettivo è far uscire chiunque dal ristorante con delle domande». Un obiettivo decisamente raggiunto.

Autore

Chiara Dall'Angelo

Nata a Vicenza il 14/03/1997. Laureata in Lettere Antiche all'Università degli Studi di Padova e in Italianistica all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.