Deserto Sanità: quando il diritto alla salute diventa un privilegio

Dopo la pandemia, la spesa sanitaria nazionale torna a scendere: siamo sotto la media europea. Agenas: mancano all’appello 20mila medici
Manzotti, Cisl: «Fino a poco tempo fa la nostra Regione attirava medici e pazienti, oggi è il contrario». Marchetti, Cgil: «La priorità del PNRR siano le assunzioni»

Ospedali al collasso, pochi medici e infermieri, aumento dei finanziamenti ai privati e la sanità pubblica che batte in ritirata. Tra tagli alla spesa e fughe del personale fuori dai confini nazionali, è un’emorragia continua quella che negli ultimi anni ha colpito il Sistema Sanitario Nazionale, che oggi appare sempre più debole, non più in grado di garantire a tutti i cittadini i servizi essenziali. In questo scenario l’esercizio del diritto alla salute diventa una scelta del cittadino e le opzioni sono due: o ci si rivolge alla sanità privata pagando di tasca propria, oppure, se non si può, si decide di non curarsi.

I deficit del Sistema Sanitario Nazionale – La situazione attuale è il prodotto di una serie di fattori e di scelte politiche. Lo spiegano bene i dati, soprattutto se comparati con quelli di altri Stati europei: dopo l’impennata dovuta alla pandemia, nel 2023 la spesa sanitaria italiana toccherà il 6,5% del Pil. Entro il 2025, si stima che scenderà ancora al 6,1%, attestandosi molto al di sotto della media europea del 7,9%. A questo si aggiunge la carenza di personale sanitario a tutti i livelli, dovuta al fenomeno dei pensionamenti massicci non compensati dal numero di assunzioni. In particolare, mancano infermieri e medici d’urgenza: due categorie chiave. L’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) afferma che mancano all’appello 20mila medici, di cui 4.500 nei pronto soccorso, mentre il quadro del personale infermieristico appare ancora più critico: in Italia ci sono 6,2 infermieri per mille abitanti, contro gli 11 della Francia e i 13 della Germania.

Spesa sanitaria pubblica 2012-2025

Le regioni – I problemi della sanità sono di natura strutturale ma il quadro si fa più complesso a livello delle singole regioni, dove le inefficienze e le diseguaglianze si toccano con mano. L’Umbria, in questo, è un caso particolare. «C’è un sentimento diffuso di sfiducia nel servizio sanitario regionale» , affermano il Segretario generale Cisl Umbria, Angelo Manzotti e Desirè Marchetti, Segretaria generale della Funzione pubblica Cgil Umbria.
«Dall’Umbria si registra l’esodo di molti professionisti che vanno ad esercitare la loro professione altrove, in Toscana e nelle Marche, ad esempio, dove trovano una situazione contrattuale migliore, con contratti a tempo indeterminato» , afferma Manzotti. Al deficit di personale si aggiunge il fatto che l’Umbria è una delle 7 regioni dove non è previsto alcun ospedale di comunità, a fronte di un’ampia fetta della popolazione che vive in aree periferiche. «Questa carenza è molto grave – aggiunge Manzotti- anche perché il nostro sistema sanitario è caratterizzato da un bacino di utenza dove si registra la percentuale più alta di ultra 65enni in Italia. Non possiamo costringere i pazienti, soprattutto i malati cronici, a spostarsi lontano da casa per curarsi e ricevere assistenza».

File acettazione Pronto Soccorso

Un modello in crisi – Il modello sanitario umbro però non è stato sempre sinonimo di inefficienza. «Fino a una decina di anni fa la nostra Regione era un polo attrattivo, le persone venivano a curarsi qui da altre regioni e si registravano ottime prestazioni nelle cure essenziali. Bisogna invertire la rotta e tornare a rappresentare un modello virtuoso», sottolinea Manzotti. Le misure da mettere in campo sono molteplici, «prima di tutto bisogna trovare una soluzione al tema più urgente delle liste d’attesa infinite, poi è necessario riformare il piano sanitario regionale». La sfida è puntare sulla medicina territoriale con un modello nuovo che non attende il paziente ma gli va incontro. In questo senso i fondi del PNRR Salute rappresentano un’occasione da non lasciarsi sfuggire per invertire il modello basato sulle strutture ospedaliere e puntare sulla realizzazione delle case comunità. Ma per la Segretaria della CGIL Umbria Marchetti questo non basta: «i soldi del PNRR sono destinati alle strutture e non al personale, che deve essere invece la priorità. Quella occupazionale deve essere la madre di tutte le battaglie, puntiamo alla stabilizzazione dei contratti e a nuove assunzioni. La coperta è corta, prima di parlare di riorganizzazione bisogna allungarla per garantire a tutti i servizi di base».

Autore

Annachiara Mottola di Amato

Nata a Matera il 02/03/1999, laureata in Relazioni internazionali all'Università di Roma, La Sapienza. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di giornalismo di Perugia.