Prima del 2011 la Siria era il «Paese del silenzio», spiega Enrico De Angelis, ricercatore e cofondatore di UntoldSyria, al Festival del Giornalismo di Perugia. Prima di quell’anno, gli unici media che veicolavano notizie erano controllati dal regime di Assad: direttamente, o indirettamente attraverso network privati. Ora, nonostante una guerra civile che dura ormai da più di un decennio, c’è una nuova generazione di studiosi e giornalisti con orientamenti politici differenti. Tutto è partito dalle rivolte del 2011 e, nonostante il regime di Damasco e il conflitto, il movimento culturale continua ad andare avanti.
Giornalismo e guerra civile – La crescita del settore ha raggiunto il suo apice tra il 2014 e il 2015, con più di 90 nuove testate tra radio, giornali, riviste e agenzie di stampa online. Kholoud Helmi, cofondatrice di Enab Baladi, è stata una delle protagoniste di questa rinascita culturale nel mondo dell’informazione siriana. «Eravamo un gruppo di attivisti – racconta – nessuno di noi era un giornalista professionista a parte uno, arrestato e ucciso sotto tortura nel 2012 dal regime». Poi, raccontando le manifestazioni, pian piano è riuscita a creare un gruppo di reporter: «Volevamo informare le persone del luogo, ma anche chi sta fuori dalla Siria. Abbiamo imparato facendo». C’è però un problema: Kholoud e i suoi collaboratori non risiedono nel loro Paese: «Siamo dei sopravvissuti in esilio, viviamo in Germania o Turchia».
Le nuove generazioni – «Stiamo imparando molto nei posti in cui risediamo in Europa – sottolinea Rula Asad, direttrice di Syrian Female Journalists Network – e stiamo mettendo da parte queste conoscenze per quando potremo tornare in Siria». Il network che dirige si batte per le donne rimaste in patria e cerca di dare un futuro alle nuove generazioni che crescono dopo la guerra civile del 2011. «Quello che cerchiamo di fare – prosegue Rula – è agevolare l’accesso alle donne nel mondo del giornalismo. Garantire i diritti fondamentali è una guerra che non finisce mai».
Finanziamenti e pluralismo – L’altro grande problema sono i finanziamenti. «Donazioni private, pubblicità, crowdfunding: il modo di finanziare i media indipendenti in Siria è ancora tutto sperimentale e molto precario» spiega Yazan Badran, ricercatore alla Libera Università di Bruxelles. L’ascesa del giornalismo curdo, i dibattiti sul genere, sull’ambiente, sul settarismo e sull’autoritarismo nel paese hanno permesso di spingere la rivoluzione culturale. Per continuare su questa strada, propone Badran, «servono più sforzi, e soprattutto connessioni con i media internazionali».