Giornalismo e Big tech: la sfida dell’indipendenza

Google e Facebook finanziano le testate, ma servono leggi più rigorose e un coordinamento fra gli editori
La reporter investigativa Fichter: «Dovremmo essere i cani da guardia delle multinazionali: accettiamo finanziamenti solo dai lettori»

di Luca Bianco e Marco Moroni.

Negli Stati Uniti, secondo il barometro Edelman, poco più di un utente su due ha fiducia nelle grandi compagnie tecnologiche, come Amazon, Meta, Google, Microsoft e così via. Oltre alla sfiducia crescente degli utenti, le Big Tech sono ora costrette ad affrontare anche i provvedimenti del regolatore. L’anno scorso, ad esempio, l’Autorità francese per la concorrenza ha inflitto alla multinazionale di Mountain View una multa record, 500 milioni di euro per non aver negoziato in maniera equa con gli editori la pubblicazione dei loro contenuti sulla piattaforma. Una contraddizione che riguarda da vicino il mondo dell’informazione e che è stata al centro di un panel del Festival internazionale del giornalismo di Perugia.

Facciamo squadra – Siamo partiti proprio dalla Francia, con la testimonianza di Gilles Bruno, docente all’École des métiers de l’information di Parigi. Oltralpe, Google, contrattando con le singole testate, se da un lato ha offerto laute retribuzioni per il caricamento di contenuti coperti da copyright, dall’altro ha imposto l’uso di alcuni servizi come Google Showcase, ovvero una selezione di articoli proposta dalla stessa piattaforma. Un comportamento che ha motivato la sentenza dell’Autorità per la concorrenza. «Manca prima di tutto il coordinamento fra i singoli editori, anche in uno stesso Paese» ha spiegato Bruno. Così, il tentativo di lanciare una piattaforma web comune e indipendente per accedere ai contenuti a pagamento di tutte le testate nazionali ha dovuto cedere il passo proprio al sistema di autenticazione attraverso Google.

Boomerang pandemia – Il sistema ha portato ossigeno alle testate, soprattutto nel periodo della pandemia, con le vendite in edicola in fortissimo affanno. Nel frattempo, però, è cresciuta anche la possibilità per Big Tech di scegliere le notizie da diffondere. «La domanda che dobbiamo farci – è la provocazione della statunitense Emily Bell, giornalista e accademica – è se vogliamo lasciare la selezione delle notizie a Facebook e Google o se vogliamo approvare una legislazione specifica in materia».

Cercasi trasparenza – «Le piattaforme – secondo Ingo Dachwitz, giornalista investigativo berlinese – sono ormai fondamentali per la diffusione delle notizie: gli editori sono contenti dei tools che offrono, ma non sempre le analytics che ricevono li soddisfano, sono spesso incomplete». La richiesta di maggiore trasparenza, emerge con chiarezza dal panel, riassume la posizione di molti giornalisti europei.

Watchdog alla catena – «Mentre molte testate hanno scoperto i vantaggi che derivano dalle iniziative di Google – ha spiegato la giornalista investigativa svizzera Adrienne Fichter – restano oscuri i meccanismi di assegnazione di questi finanziamenti» senza che gruppi di editori o interventi legislativi riuscissero a mettere ordine nel flusso di denaro. «Ma questo compito deve ricadere anche su noi giornalisti – ha concluso Fichter – dovremmo essere i watchdog delle grandi multinazionali: meglio cambiare modello di business e accettare finanziamenti dai nostri lettori al posto del denaro di Google e Facebook».

Autore

Marco Moroni

Nato ad Ancona il 25 febbraio 1996. Sono laureato in filosofia all'Università degli studi di Macerata, con un percorso di doppio diploma con l'Institut Catholique de Toulouse (Francia). Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.