Benedetta Tobagi e il terrorismo spiegato ai ragazzi

La riflessione a 42 anni dall'uccisione del padre Walter: il rischio che il giornalismo faccia da cassa di risonanza
«Stragi di Stato? Riduttivo, soprattutto allora lo Stato era molte cose. E ci sono molte stragi ancora senza responsabili»

«Io sono qui per parlare non come figlia di una vittima del terrorismo, ma come chi ha approfondito un lungo periodo che ha seminato tanto, troppo terrore nel nostro paese». Benedetta Tobagi si presenta così, nell’incontro “Alle origini del terrorismo italiano“, appuntamento della seconda giornata del Festival del giornalismo di Perugia.

Il terrorismo – Nel 1980 Benedetta aveva tre anni quando suo papà Walter, inviato di punta del Corriere della Sera, venne ucciso a 33 anni da un commando di terroristi vicini alle Brigate rosse. Dalla nascita della Repubblica alla fine del terrorismo politico, la storica ha ripercorso le ragioni della lunga stagione d’odio che ha colpito il paese. E lo ha fatto raccontandola agli studenti delle superiori, in una Sala dei Notari gremita. «La storia – spiega Tobagi – è come un circolo che si ripete. Pensiamo alla sentenza di pochi giorni fa che ha finalmente messo nero su bianco le responsabilità delle forze dell’ordine sul caso Cucchi. Gli abusi di chi detiene il potere si sono ripetuti più volte nel corso della storia della Repubblica. Non è stata una novità, quindi, nata durante gli anni Settanta; ricordiamo come le rivendicazioni dei braccianti vennero represse nel dopoguerra».

Questione di linguaggio – Per Tobagi indicare con il termine “terrorismo” quel momento storico è limitativo: «Si tratta di una sintesi giornalistica – racconta – e a me non piace, perché cancella tutto quanto accaduto in quegli anni e il contesto internazionale. È stata una strategia della tensione, partita dalla strage di piazza Fontana e proseguita per oltre un decennio». Estremismo di destra e di sinistra, stragi, attentati, loggia P2 e Gladio: Tobagi cattura la platea analizzando il passato oscuro dell’Italia. «Le stragi – si domanda – sono di Stato? Per me è riduttivo, perché lo Stato, soprattutto allora, è molte cose. Lo stragismo ha avuto coperture dimostrate, certo, ma non va mai dimenticato l’impegno di tanti che hanno sacrificato la vita per aver compiuto il proprio dovere».

Il ruolo del giornalismo – Interessante la riflessione sul giornalismo: «Il terrorismo – ragiona Tobagi – ha avuto enorme bisogno dei mezzi di informazione, come un pesce necessita dell’acqua per nuotare. I terroristi erano pochi che volevano imporsi su molti e avevano bisogno che le loro azioni ricevessero la massima risonanza. Anche oggi il tema di come raccontare le rivendicazioni di una minoranza è irrisolto». Una presenza a Perugia, quella della Tobagi, che arriva poche ore dopo l’ennesimo capitolo di una delle pagine più buie della storia italiana: «Mi ha fatto un certo effetto essere qui – ammette – il giorno dopo la pronuncia sulla strage di Bologna a 42 anni dal fatto. Ci sono tante stragi che non hanno ancora un responsabile. Ed è per questo che è importante continuare a parlarne, a studiarle, a raccontarle».

Autore

Alberto Vigonesi

Nato a Vicenza il 01/10/1990. Laureato in Politica Internazionale e Diplomazia all'Università degli Studi di Padova. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.