Reportage dalla Polonia, tra solidarietà e timori

Stazioni adattate per accogliere i rifugiati e manifestazioni in piazza a sostegno dell’Ucraina: così il popolo polacco sostiene chi scappa dall'invasione russa
Viaggio ai confini della guerra, tra Cracovia e Przemyśl, per documentare il viaggio di migliaia di ucraini

Cracovia dista circa 300 chilometri da Leopoli. La città polacca si è mobilitata per accogliere i profughi ucraini, non limitandosi a tappezzare ogni angolo di bandiere gialloblu. L’ostello nel quale alloggio, per esempio, ospita molti rifugiati. A pagare sono dei donatori, mi spiega il gestore. Una ragazza videochiama il marito – s’intravede una persona in tenuta mimetica – mentre la figlia scorrazza nella hall. Due coniugi sulla sessantina stazionano tutto il giorno tra la cucina e il letto a castello, dentro un camerone con dodici posti pensato per giovani globetrotter. Lui passa ore seduto accanto a lei, che invece rimane sdraiata a letto. C’è una giovane coppia con un paio di figli e la sorella della moglie al seguito. «Lei stava con un cinese, ma si sono separati», dice lui aiutandosi con i gesti. «China no good» scherza, non chiarendo se le considerazioni riguardino l’ex cognato o la situazione geopolitica.

Manifestante bielorussa pro-Ucraina

Le proteste –  Sabato 5 marzo è scandito da due manifestazioni. La prima parte la mattina dal consolato americano e arriva a piazza Mariacki, nel cuore della città. A guidarla – al grido “Nato close the sky” – è Andriy, ucraino: «Quante persone dovrà ancora uccidere Putin prima di chiudere lo spazio aereo?» chiede, invitando anche gli italiani a mobilitarsi nelle piazze. «Avevamo la possibilità di scappare da Kiev e l’abbiamo fatto, non vogliamo morire» racconta quasi in lacrime Olga, che ha vissuto un anno in Italia e parla un po’ la nostra lingua. È arrivata il 25 febbraio a Cracovia con la figlia adolescente ed è ospite della sorella. «A casa abbiamo lasciato mariti e genitori a proteggere non solo il nostro Paese, ma anche l’Europa. Perché quando Putin ucciderà tutti i nostri non si fermerà, a cominciare dalla Polonia. Non sappiamo cosa fare perché noi vogliamo tornare a casa: abbiamo tutto lì, case, lavoro». Helen è inglese, ma vive da anni in Italia. «Mi sentivo inutile per cui ho deciso di venire qua. I politici non servono, siamo noi come popolo che dobbiamo spingere le cose».

Una delle tantissime bandiere ucraine nel centro di Cracovia

Nel pomeriggio un altro corteo, con partenza dal consolato russo. Una donna grida: «Fermate Putin, è il nuovo Hitler». Ma i cori sono anche contro il presidente bielorusso Lukaschenko, che ha dato appoggio a Mosca in queste operazioni. «La Russia per noi è un problema da anni» dichiara un manifestante bielorusso. «Lukaschenko not president, Tsikhanouskaya president» incalza un altro. Sviatlana Tsikhanouskaya è la leader dell’opposizione di Minsk, sconfitta alle elezioni presidenziali del 2020, molto contestate.

In piazza sono moltissime le donne ucraine. Trattengono a stento le lacrime mentre cantano il proprio inno: «I nostri nemici scompariranno, come rugiada al sole, e anche noi, fratelli, regneremo sulle nostre terre. Daremo anima e corpo per la nostra libertà, e mostreremo che noi, fratelli, siamo di stirpe cosacca». Anche questa volta ci si dirige nella piazza centrale di Cracovia, davanti alla basilica Mariacka. Troviamo una rifugiata politica bielorussa che regge un cartello contro il suo presidente. «Lukaschenko ci ha venduto ai russi» afferma. «Le truppe partono dal nostro Paese ma il popolo è contrario. Gli ucraini sono i nostri vicini. Tutto questo è assurdo». C’è anche una manifestante russa. In mano ha un cartello identico a quello della sua vicina, salvo che per colore e soggetto. «Putin non rappresenta tutto il nostro Paese – dichiara – e io sono qua per sostenere le persone che hanno paura di manifestare».

Przemyśl – Domenica arrivo nella città diventata primo approdo in Polonia per i rifugiati che partono da Leopoli. La stazione dei treni è strapiena. Parlo con un uomo appoggiato alla balaustra. «Aspetto i miei amici dall’Ucraina. È il secondo giorno che sono qua». Suona il suo cellulare, potrebbero essere loro. Falso allarme. «Arrivano da Leopoli, di solito ci vogliono una, due ore, ma sono partiti  venerdì e ancora non si vedono».

Sopra e sotto, rispettivamente, l’esterno e l’interno della stazione di Przemyśl

A gestire questa fiumana di persone sono soprattutto volontari, riconoscibili dalla pettorina gialla. Molti sono giovanissimi. Chi distribuisce sim cards per il cellulare, chi fa i biglietti dei treni, gratuiti per gli ucraini. Un uomo grida “zuppa!”, un altro passa con una cesta di dolci. Le persone sono sedute per terra, sui bagagli, ovunque vi sia uno spazio libero. I giornalisti cercano storie da raccontare, i fotografi mettono peluche in mano ai bambini e scattano. E poi c’è chi è arrivato da città lontane per dare un passaggio ai rifugiati e ha in mano cartelli con le destinazioni più diverse: Berlino, Varsavia, Amburgo, persino la Norvegia.

Soprattutto, ci sono gli ucraini. La maggior parte di loro arriva da giorni di viaggio e non vuole essere ripreso né rilasciare dichiarazioni. Se anche volessero, c’è l’ostacolo della lingua, dato che molti conoscono solo la propria o il russo. Chi accetta di parlare e sa l’inglese è Valeria, 27 anni, che fino a qualche giorno fa era manager e adesso è qui con qualche amico. «Sono arrivata oggi da Kiev. Mia madre e il suo compagno sono rimasti a casa. È una loro decisione. Sono molto triste, ho pianto, ma non posso fare altrimenti». Fuori c’è un uomo originario della Costa d’Avorio. «Ho solo questo» afferma indicando un tappetino di gomma. Arriva da Odessa e ha trascorso tre anni in Ucraina. Come molti qui, non sa quale sarà la sua prossima tappa.

Settore dedicato all’accoglienza dei rifugiati ucraini nella stazione centrale di Cracovia

Krakow Glowny – Lunedì mi trovo alla stazione centrale di Cracovia, dove è stato allestito uno spazio per accogliere i profughi ucraini e aiutarli a proseguire il viaggio. Sono centinaia quelli ammassati in attesa della prossima tappa. Anche qui l’accoglienza è garantita dai volontari. «Abbiamo messo in piedi alcuni servizi essenziali, aiutiamo i rifugiati con i biglietti, l’alloggio o le sim cards» spiega uno di loro. C’è un norvegese con un cartello “Bus per Oslo”. Attorno a lui si raduna un gruppetto di profughi. «Il nostro governo vi troverà un alloggio e un lavoro, oltre a scuole per bambini e ragazzi. Non ci sono problemi di certificati Covid, vi serve solo il passaporto ucraino» spiega con pazienza a chi domanda delucidazioni. «Ero a Kiev ma sono dovuto scappare» afferma. «Sono arrivato in Polonia e ho deciso di aiutare coloro che vogliono andare a Oslo e Vilnius».

Il capannello si ingrossa sempre di più. L’uomo sparisce per fare delle telefonate. Poi ritorna: il bus è pronto per partire. Una donna del Donbass è accompagnata dal figlio quattordicenne: «Ho un’amica in Norvegia» dichiara. «Fa freddo a Oslo? Dio mio, cosa stiamo facendo! Perché?». A guidare il bus per questo percorso di due giorni è un volontario, anche lui norvegese. Si chiude il portellone dei bagagli. Un bimbo scende e abbraccia una signora, prima di risalire sul pullman. Si chiudono le porte. Inizia il viaggio.

Autore

Gianluca Carini

Nato a Palermo il 13/12/1992. Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.