Cassettiera della nonna, no grazie: come il digitale rivoluziona l’antiquariato

I "maestri di bottega" in crisi negli ultimi 10 anni, mentre le case d'aste fanno affari: non si compra più per arredare, ma per collezionare
Botticelli: «Il settore trasformato dalla tecnologia». Felicioni. «Durante la pandemia picco di acquisti: volano le piattaforme online»

Il mercato dell’antiquariato italiano è in affanno da anni e la pandemia da Covid- 19 non lo ha certo aiutato. La realtà umbra non fa eccezione e le possibili strade sono due: aprirsi all’online o cambiare prodotti e clientela di riferimento. Il fatturato delle gallerie si è ridotto oltre il 50% negli ultimi due anni, con i negozi nei centri storici chiusi, pochi turisti a passeggio nella città, il commercio al dettaglio è crollato.

Il presidente – Bruno Botticelli è il presidente dell’Associazione Antiquari d’Italia, ha una galleria a Firenze e lavora in questo campo dal 1985. Ha un’idea molto chiara dei cambiamenti che iL settore ha attraversato: «Negli ultimi dieci anni le regole del gioco sono state rivoluzionate dalla tecnologia. Le persone si sono abituate a guardare la realtà attraverso uno schermo: è cambiata la percezione di ciò che vendiamo». La pandemia ha accentuato questo aspetto e, sottolinea Botticelli, «dopo due anni di attività a distanza serve tornare al contatto fisico con il cliente e con l’opera». Il mercato è di nicchia e ogni mercante d’arte sceglie come approcciarsi alla vendita: mostre, aste on line, vendite solo in negozio. Sul giro d’affari, però Botticelli preferisce non sbilanciarsi: «non è possibile fare una stima di quanto fatturi il nostro settore, perché è fatto di casi singoli».

L’antiquario – Nel cuore di Perugia, proprio di fronte alla Galleria nazionale dell’Umbria, Fabio Mearini ha il suo negozio da circa trent’anni. I due piani ospitano sculture medievali di legno e marmo bianco, alle pareti Cristi lignei e quadri del ‘500. «Il 70-80% dei nostri clienti oggi sono stranieri, ma rarissimi americani: dopo il caso Meredith ne abbiamo perso la gran parte. Gli umbri che comprano da noi saranno il 10%». Anche Mearini sottolinea la trasformazione del mercato nel quale lavora perché «una volta si comprava per arredare, ora si colleziona. Anni fa ci si comprava il cassettone della nonna da mettere in camera, ora non va più di moda». Questo ha costretto chi non si è adeguato a chiudere. L’antiquariato d’arredamento ha subito grandissime perdite. La galleria Mearini dopo aver sofferto il crollo dei prezzi del settore, ha scelto di specializzarsi e oggi affronta la pandemia in modo sereno: «Con il Covid» spiega ancora l’antiquario, «abbiamo valutato, restaurato e studiato meglio le nostre opere. C’è stato un accrescimento economico perché abbiamo scoperto degli oggetti, delle sculture, che non conoscevamo».

L’ex antiquario – Se c’è chi è riuscito a restare nel campo dell’antiquariato, c’è chi invece ha deciso di cambiare direzione. Irene Gallese, tailluer a pois e una vistosa collana al collo, è la proprietaria de “Le cose di ieri”, negozio perugino nato nel 1987 come galleria che trattava soprattutto mobili e quadri antichi. Oggi vende articoli più economici e punta sul vintage: bicchieri, scatole di latta, paralumi, lampade e complementi d’arredo del ‘900. Gli articoli vanno dai 15 fino ai 6 mila euro, come nel caso di un quadro di Banksy venduto di recente. «Abbiamo scelto di abbassare i prezzi e puntare su una clientela locale» racconta Irene «quasi tutti i nostri clienti sono italiani, moltissimi perugini». Negli anni c’è stato un impoverimento degli acquirenti , se prima spendevano senza pensare,
«oggi non è più così».

La casa d’aste – Anche gli antiquari più attivi sulle piattaforme, con i siti più aggiornati e contatti internazionali, non hanno bilanci in crescita come quelli delle case d’aste. Complice la pandemia, moltissime opere sono state vendute on line. Una distinzione però va fatta: le case d’aste possono, e spesso lo fanno, vendere oggetti anche molto diversi tra loro. Dai quadri antichi, alle opere di modernariato, gioielli e bottiglie di vino. La casa d’aste “Felima Art” di Perugia vende pezzi di arte moderna: quadri, sculture, oggetti di pop art. «Lavoriamo molto online» spiega Cristiana Mancini, proprietaria dell’attività «le offerte ci arrivano telefonicamente, sul sito o cartacee. Le opere sono di collezionisti privati, noi le stimiamo e mettiamo in catalogo». Nicola Felicioni, altro titolare, pensa che la street art ora sia lo stile più di moda, i prezzi vanno «dai mille ai 60mila euro» e i clienti sono sia italiani che stranieri. «Durante la pandemia c’è stato un picco di acquisti» dice Felicioni «perché i collezionisti hanno imparato a usare le piattaforme online». E se una statua di marmo è un po’ vistosa da mettere in salotto, si può sempre optare per qualcosa di più discreto. Che sia in negozio o grazie a un pc, il mondo dell’arte si è rimodellato, ma mai fermato. Gli acquirenti spendono meno e aumentano quelli stranieri. Chi lavora nel settore pensa che questi cambiamenti siano fisiologici: tutto sta nell’interpretare i loro interessi.

Autore

Greta Dircetti

Nata a Padova nel 1995. Laureata in Governo delle amministrazioni all'università di Padova e in Mass media e Politica all'università di Bologna. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.