Dante, ecco la Divina Commedia “made in Umbria”

A Foligno, la prima stampa del capolavoro di Dante: torchio, caratteri mobili e carta proveniente dalla vicina Pale. La storia raccontata al museo di palazzo Orfini
A 700 anni dalla morte del poeta sono stati restaurati i frammenti trecenteschi di Fossato di Vico. L'archivista: «Finalmente sono tornati leggibili»

Dante, un fiorentino in Umbria. Un’espressione audace, se consideriamo che il poeta non soggiornò mai nella regione. Una formula azzeccata, se guardiamo alla storia editoriale della Divina Commedia. A Foligno vide la luce la prima edizione a stampa del poema che ha forgiato la lingua italiana. Ma c’è di più: nella cittadina di Fossato di Vico gli archivisti dell’Antiquarium comunale hanno strappato all’abbandono una delle più antiche testimonianze del poema, alcuni versi del Paradiso vergati a mano nella seconda metà del Trecento.

Nell’anno del settecentesimo anniversario della morte di Dante, quasi mille visitatori hanno messo piede nel Museo della stampa di Foligno, ospitato del palazzo dove fu stampata la prima edizione della Divina Commedia. Le sale del museo sono quasi nascoste fra gli uffici comunali di palazzo Orfini e sono aperte ai visitatori solo nel fine settimana, ma le pietre del palazzo narrano una storia straordinaria.

Nel 1469, qui si incrociarono le storie dei fratelli Orfini, nobili folignati, e di Johannes Numeister, allievo di Gutemberg, padre della tipografia. Il sodalizio durò poco, ma nel 1472 diede luce a una pregevole edizione della Divina Commedia: per la prima volta i versi di Dante furono trascritti con torchio e caratteri mobili. Anche la carta era locale: «Con tutta probabilità furono scelti fogli provenienti dalle vicine cartiere di Pale», chiosa la guida Cristina Di Camillo. Dall’inchiostro e dal sudore dei tipografi nacquero 200 copie dell’opera. Oggi ne restano solo 59, sparse in giro per l’Italia. Solo una pagina del dodicesimo canto del Paradiso è ancora gelosamente custodita a Foligno, dono della famiglia Orfini al Museo. Fra antiche filigrane e un busto del sommo poeta, è ancora possibile leggere il dialogo fra Dante e Beatrice dalle stesse, antichissime pagine lavorate dal torchio di Numeister.

Prima del 1472, la riproduzione del poema era affidata ai soli amanuensi. Fu proprio un monaco o un novizio, nella seconda metà del Trecento, a ripercorrere con il calamaio i versi dei canti IV, V e VII del Paradiso. Oggi le due pergamene sono il gioiello più prezioso dell’Antiquarium di Fossato di Vico, ma non ricevettero sempre la stessa attenzione. Per secoli sono rimaste sepolte nella polvere, incollate l’una all’altra, a rafforzare la copertina del registro di un notaio perugino risalente al 1581.

La riscoperta delle pergamene ha una storia sorprendente. Dopo il terremoto che colpì l’Umbria nel 1997, una riorganizzazione degli archivi comunali era diventata necessaria. Fu così che, a Fossato di Vico, il lavoro di ricerca e catalogazione dell’archivista di Francesco Guarino (scomparso recentemente) portò allo storico ritrovamento. «Riprendendo in mano documenti dal sedicesimo al diciannovesimo secolo, capì prima di tutti l’importanza di quei frammenti – ricorda Eleonora Giovagnoli, l’altra archivista che partecipò ai lavori – segnalandoli alla soprintendenza di Perugia: fu una scoperta emozionante». All’inizio di quest’anno le pergamene sono state restaurate dall’Istituto di patologia del libro: «Finalmente quei meravigliosi versi sono tornati leggibili», dice Giovagnoli. Un dono prezioso per gli appassionati delle belle lettere, che devono il ritrovamento allo scrupolo e alla curiosità degli archivisti umbri.

Autore

Marco Moroni

Nato ad Ancona il 25 febbraio 1996. Sono laureato in filosofia all'Università degli studi di Macerata, con un percorso di doppio diploma con l'Institut Catholique de Toulouse (Francia). Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.