Il sogno olimpico del canottaggio azzurro nasce a Piediluco

Posizione strategica e venti miti: da oltre trent'anni il lago nel ternano ospita il centro federale della disciplina
Il direttore tecnico Cattaneo: «Andiamo a Tokyo con grandi ambizioni, ricordando Filippo Mondelli»

Grazie anche alle telecronache di Giampiero Galeazzi negli anni Ottanta, il canottaggio è entrato nel cuore degli italiani. Uno sport dalla lunga tradizione nella penisola, con luoghi come il lago di Varese o il Golfo di Napoli che vantano una storia secolare di successi. Tra le capitali del remo tricolore c’è anche un pezzo di Umbria, che occupa un ruolo fondamentale per le fortune della Nazionale. Dal 1987 il lago di Piediluco ospita il Centro federale remiero, intitolato alla memoria dell’ex presidente federale Paolo d’Aloja. Il luogo è stato scelto per la strategica posizione geografica nell’Italia centrale, oltre che per la mitezza dei venti. Qui, a due passi dalla cascata delle Marmore, si preparano donne e uomini di tutte le categorie, accomunati dal sogno di raggiungere, un giorno, i Giochi Olimpici.

La speranza di Simone – A Tokyo spera di andarci Simone Martini: il triestino è uno dei veterani del gruppo azzurro ma non ha ancora avuto la possibilità di gareggiare nella rassegna a cinque cerchi. Ma non è detto che nel volo per il Giappone ci sia un biglietto a suo nome: pur avendo centrato la qualificazione nel singolo, Martini è stato colpito nel dicembre scorso dal Covid-19, con uno sgradito coagulo a una gamba che lo ha costretto a un mese e mezzo di stop. «Oltre a me – spiega – ci sono altri ragazzi che possono rappresentare al meglio la maglia azzurra e che si sono allenati senza intoppi. Devo quindi meritarmi il posto in aereo. Sarebbe il coronamento della carriera, dato che ho 32 anni e che dopo i Giochi smetto con l’agonismo». La sua storia è quella di una persona a tutto tondo: laureato in ingegneria navale e fresco di dottorato di ricerca, Martini, non tesserato per un gruppo sportivo militare, è membro in quota atleti nel consiglio federale. Conciliare questi impegni non è semplice. «Anche perché – conferma – gli allenamenti sono pesanti, tanto che alla sera crolliamo per la stanchezza». In inverno, infatti, i canottieri della nazionale svolgono ben 15 allenamenti alla settimana. «Per sfruttare le poche ore di luce – commenta Martini – usciamo in acqua di mattina presto per circa 3 ore, ripetendo la stessa routine nel pomeriggio. A questo vanno aggiunte le sessioni di pesistica e di preparazione atletica».

Il selezionatore – L’arduo compito di scegliere chi farà parte della spedizione a cinque cerchi tocca a Francesco Cattaneo. Dal 2017 direttore tecnico della nazionale, il 51enne salernitano ha contribuito a riportare il canottaggio agli antichi splendori. Ai recenti Europei di Varese la truppa azzurra ha centrato otto medaglie, seconda solo alla Gran Bretagna. Per i Giochi sono ben nove le barche qualificate, dietro solo alle superpotenze Paesi Bassi, Canada e la stessa pattuglia britannica. «Sono orgoglioso del lavoro fatto – afferma Cattaneo – in particolar modo con il settore femminile. Le quattro imbarcazioni qualificate sono un record per l’Italia, merito di un gruppo di lavoro dedicato di cui sono molto fiero». La pandemia ha colpito duro il gruppo azzurro, tanto che gli ultimi casi di contagio risalgono a metà maggio. «Una positività – dice Cattaneo – ne ha generate altre quattro, per cui molti equipaggi si sono dovuti fermare. I ragazzi sono stati bravi a tenere dal punto di vista psicologico; a livello logistico è più difficile combinare le esigenze che nascono in questi momenti, ma avevamo comunque messo in conto questi ostacoli».

A Tokyo con Filippo nel cuore – Oltre al Covid-19, la nazionale ha vissuto momenti difficili, con la morte a fine aprile di Filippo Mondelli per un tumore, a soli 26 anni. «È stata una tragedia immane – confessa Cattaneo – Filippo era un atleta e una persona eccezionale. La squadra è rimasta molto scossa, tanto che abbiamo interrotto la preparazione per qualche giorno». Pilastro del quattro di coppia, il ricordo di Mondelli spingerà tutti a lottare per quell’oro che manca dal lontano 2000. «Non è semplice andare avanti, il suo ricordo è sempre presente. E a Tokyo vogliamo ottenere quella medaglia che si sarebbe meritato».

Autore

Alberto Vigonesi

Nato a Vicenza il 01/10/1990. Laureato in Politica Internazionale e Diplomazia all'Università degli Studi di Padova. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.