Coronavirus, anche l’economia è in zona rossa

Crollo delle vendite, incertezza, costo del lavoro: i problemi degli imprenditori umbri
Viaggio nell’altra emergenza. I commercianti: «Sarà molto peggio del 2009»

Più di venticinquemila morti, quasi duecentomila contagiati, ospedali al collasso. Al 22 aprile, le cifre del coronavirus, purtroppo, abbiamo imparato a conoscerle bene. Le strade deserte delle città raccontano però nuovi numeri e nuove storie. Le saracinesche abbassate dei negozi descrivono, più di ogni parola, i problemi che avrà, e che ha già, la nostra economia. L’altra emergenza.

Programmare nell’incertezza – Carlo Petrini, presidente di Federmoda Umbria, ha un negozio di pelletteria e abbigliamento a Spoleto, vicino all’uscita della Tiberina. Si chiama Grub Gallery, è chiuso dall’11 marzo e le vendite sono in calo del 90%. Non sono a zero solo perché c’è un sito per il commercio online. Ma la sua preoccupazione maggiore è l’incertezza: «Non sappiamo niente – dice – non abbiamo indicazioni su quando riapriremo e su che misure dovremo prendere per la sicurezza. Non possiamo tornare in negozio da un giorno all’altro come è stato per le librerie. Dobbiamo saperlo prima e programmare quello che c’è da fare». Secondo Carlo poi, riaprire con l’emergenza in corso non ha molto senso: le persone starebbero a casa e ci sarebbero solo costi senza guadagni. «Bisognerebbe ragionare non per categorie di attività, ma per territori – dice ancora Carlo – l’Umbria è tra le regioni meno colpite per fortuna. Quando si deciderà di riaprire, bisognerà riaprire tutto». Il settore della moda è tra i più danneggiati, anche perché la programmazione degli acquisti avviene con dieci mesi di anticipo. Prima di tornare ai livelli pre-epidemia, per lui, serviranno almeno due anni. Due lunghi anni. «Non ho avuto aiuti finora, a parte quella miseria di 600 euro (bonus dello Stato per gli autonomi). La mia dipendente, che ora è in cassa integrazione, ne prende 1200. I diritti dovrebbero essere gli stessi per tutti» conclude Petrini.

Il negozio Grub Galery prima della chiusura

Costo del lavoro – Chi di dipendenti in cassa integrazione ne ha tanti è Andrea Zaroli. Gestisce Trilogy, un pub/pizzeria a Ramazzano. I suoi nove impiegati ora lavorano a rotazione e qualcuno di loro, nell’ultimo mese, ha fatto solo tre ore. Per fortuna ci sono i sussidi statali, perché nei giorni della crisi, le vendite sono calate del 70%: «In questo periodo avevamo 300 persone nel locale. Quando riapriremo, tra la paura della gente e le restrizioni agli ingressi, spero di averne 50». E per questo che vorrebbe che si abbassassero i costi del lavoro. La crisi economica non finirà con l’emergenza. «Se rimetto tutto il personale all’opera starò peggio di ora – racconta – Dover mandare via un mio dipendente, dirgli che non ce la faccio più a pagarlo, è una cosa che mi tocca il cuore. Ma la gente non uscirà come prima: finchè c’è la cassa integrazione che permette di avere meno spese, preferirei continuare a tenere il locale chiuso e lavorare solo di consegna a domicilio». Per restare in linea con i pagamenti e non affondare. Almeno quello.

Trilogy, il locale di Andrea Zaroli vuoto da inizio marzo

Asporto, affitto, fase 2 – L’asporto però non è adatto per tutti i locali. Michele Radicchia, chef di “Cammino Garibaldi” dell’omonimo corso nel centro di Perugia ci spiega proprio questo: «Siamo chiusi dal primo decreto, perché non avevamo la forza per fare consegne a domicilio. Poi molti piatti vanno mangiati nel locale, altrimenti si rovinano. Stiamo comunque provando ad attrezzarci». Portare a dieci chilometri di distanza una pizza o un piatto di carbonara non è proprio la stessa cosa. Radicchia racconta che non ha arretrati e che per ora ha sospeso il pagamento dell’affitto. Il proprietario è un amico. Di liquidità però c’è sempre bisogno: «Abbiamo chiesto il prestito di 25mila euro garantito dallo stato e useremo questi soldi per adeguare il locale alle nuove norme – dice – c’è la cucina a vista e dovremo mettere il plexiglass. All’interno (c’è anche un esterno) abbiamo 30 posti e dovremo ridurre gli ingressi.  È come aprire una nuova attività, servono almeno 15 giorni. E le persone hanno paura, vogliamo fargli capire che se vengono da noi possono stare tranquille». Il rispetto delle nuove regole sì, ma anche la percezione dei clienti. Clienti che potrebbero non esserci, avverte Radicchia: «Noi lavoriamo soprattutto con i turisti. Prima di ripartire decorosamente si dovrà aspettare marzo 2021».

L’ingresso del locale Cammino Garibaldi

Crisi, paure, turismo – Il problema è che adesso non si viaggia più ed è difficile prevedere quando si tornerà a farlo. Nella settimana tra 6 e 12 aprile, solo in Europa, ci sono stati quasi 200mila voli in meno rispetto all’anno scorso. Ne pagano le conseguenze ristoranti, musei, ma soprattutto alberghi. Lorena Grossi gestisce l’Hotel Perusia che si trova a Perugia in via Eugubina, vicino alla chiesa di Monteluce. È molto preoccupata: «Abbiamo avuto molte cancellazioni e tante prenotazioni in meno, rispetto all’anno scorso siamo sotto del 75%. Ho 15 dipendenti in cassa integrazione. Noi lavoriamo molto con le gite scolastiche, che già a febbraio erano state cancellate».  A questo punto Lorena comincia ad elencare tutti gli eventi che si sarebbero dovuti tenere in Umbria. Eventi sportivi, convegni, Festival del Giornalismo, Umbria Jazz. Quasi tutti sono stati già annullati o rinviati. E c’è la paura che la fase 2 non basterà per ripartire: «Le persone, un po’ per la crisi un po’ per paura, viaggeranno di meno – conclude Lorena – Non ci riprenderemo prima della primavera. Sarà molto peggio dell’ultima crisi».

Autore

Aldo Gironda Veraldi

Nato a Catanzaro il 29/02/1996. Laureato in Scienze Politiche presso l'Università della Calabria. Giornalista praticante del XIV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.