Combattere l’epidemia: il potere guaritore della storia

Dalla peste al coronavirus, nei secoli l'uomo ha fatto più volte i conti con catastrofi sanitarie
Tra riti magici, lazzaretti, quarantene e vaccini, ogni pandemia è stata affrontata (e superata) con vari rimedi. Ma un elemento resta comune: la paura del contagio

ZONA ROSSA – Ogni pandemia è diversa dall’altra. Non appena si diffonde però l’uomo è assalito dalla medesima paura del contagio, a prescindere dalla letalità, e così si adopera con tutti i mezzi a disposizione per contenerla. Il coronavirus è la prima pandemia maggiore del XXI secolo: originatosi nel dicembre 2019 a Wuhan, nella provincia cinese dell’Hubei, nel giro di pochi mesi il virus si è diffuso in tutto il mondo. «Il COVID-19 può essere caratterizzato come una pandemia – ha dichiarato l’11 marzo da Ginevra il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom GhebreyesusPandemia non è una parola da usare con leggerezza ma siamo preoccupati dai livelli allarmanti di diffusione», ha detto, ringraziando i paesi più colpiti – Italia, Iran e Corea del Sud – per le misure adottate per rallentare la diffusione. Mentre nei laboratori di mezzo mondo è partita la corsa alla ricerca del vaccino, gli stati sono corsi ai ripari per contenere il virus, altamente contagioso. Da Wuhan a Codogno, dalla provincia cinese dell’Hubei alla Lombardia, interi territori colpiti da un focolaio sono stati dichiarati zona rossa: le autorità hanno sigillato gli accessi in entrata e in uscita, la popolazione è rimasta in isolamento senza contatti con l’esterno, se non da remoto . Misure drastiche ma che, dopo qualche settimana, hanno prodotto risultati concreti con la diminuzione dei contagi. Al crescere repentino dei casi molti governi – Italia in testa – hanno esteso la zona rossa all’intero territorio nazionale. «L’unica soluzione è chiudere le città come nel medioevo», ha affermato il prof. Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’ospedale Spallanzani di Roma. E proprio medievali sembrano le ricette che anche oggi si applicano: isolamento delle persone infette, limitazione delle interazioni sociali e chiusura dei collegamenti tra i territori.

LA STORIA INSEGNA  – Dalla prevenzione al trattamento sanitario alla cura farmacologica, nei secoli la scienza medica ha fatto progressi evidenti nel fronteggiare le pandemie. Per non ripetere gli errori nel presente (e in futuro) occorre però sempre fare tesoro degli insegnamenti che arrivano da lontano nel tempo. Tommaso Di Carpegna Falconieri insegna storia medievale all’università di Urbino.

Professore, come venivano trattate le pandemie nel passato?

«Fino alla scoperta del vaccino, chi si ammalava di peste non poteva essere curato ma al massimo accudito. L’appestato veniva segregato, perché in questo modo non aveva modo di contagiare gli altri. Durante la peste nera del trecento ad esempio lo storico fiorentino Matteo Villani racconta come si fossero abbandonate le più elementari regole della carità: i genitori arrivavano a lasciare i figli per la paura di prendersi la peste. I medici del tempo non avevano idea di come curarla, non sapevano neanche da dove era originata; andavano per ipotesi come nel caso della malaria si pensava potesse essere trasmessa dagli oli degli untori. Così come allora, anche oggi per il Covid19 non esiste un rimedio specifico c’è però una differenza sostanziale: i nostri servizi sanitari sono incredibilmente più capaci di trattare una situazione del genere. La gente ha maggiori capacità di isolarsi, bisogna solo evitare di sottovalutare la situazione continuando a reiterare forme di aggregazione sociale».

In Corea del Sud grande diffusore del virus è stata una donna di 61 anni appartenente alla congregazione Shincheonji di Gesù, setta religiosa che conta circa 300 mila seguaci. Sembra che la donna, nonostante i sintomi della malattia, abbia comunque partecipato a due cerimonie nella città di Daegu e si sia rifiutata di andare in ospedale, scoraggiata dagli stessi membri del gruppo che considerano la malattia una debolezza della fede .

In che modo credenze religiose e superstizioni collettive contribuivano a propagare la peste?

«Le forme di devozione collettive come le processioni di preghiera per debellare il male provocavano assembramenti e facevano aumentare le epidemie. Discorso a parte per le superstizioni: il principio di stare il più lontano possibile da persone e oggetti contaminati era chiaro a tutti già nel medioevo».

In definitiva, quale lezione si può trarre dalle epidemie del passato?

«Ogni epidemia è diversa dall’altra. Si può imparare che l’uomo reagisce con la paura. Si può imparare che è necessario assumere un senso di responsabilità, che è tutto personale. E soprattutto è fondamentale la comunicazione: quando gli ordini emessi dalle autorità non sono chiari, il rischio è quello di generare il panico.»

Autore

Claudio Agrelli

Nato a Saronno (Varese) il 1° agosto 1991. Laureato magistrale in Scienze Politiche - Mass Media e Politica presso Alma Mater Università di Bologna, campus di Forlì. Giornalista praticante del XIV Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.