Sos Iran, il paese in perenne emergenza

Tra crisi economica, politica e sanitaria: le ultime elezioni confermano l’esasperazione della popolazione

L’epidemia di coronavirus che si è abbattuta sull’Iran, oltre ad aver catapultato il paese in un’emergenza sanitaria senza precedenti, ha portato alla luce una crisi molto più profonda: quella della politica. Ma facciamo un passo indietro. Dopo le rivolte per il caro benzina, le manifestazioni in seguito alla morte del generale Qassem Soleimani per mano americana, le sanzioni economiche imposte da Trump, l’Iran ha dovuto fare i conti con un’altra emergenza: il paese è tra i più colpiti a livello mondiale sia per il numero di contagi sia per il numero di vittime da coronavirus. L’epidemia si è diffusa rapidamente in tutta la nazione: tutte le 31 province del paese sono rimaste coinvolte. Ad ammalarsi anche tanti uomini di Stato come Ali Akbar Velayati, il più importante consigliere della guida suprema Ali Khamenei, e il vice-ministro della salute Harirchi. Tra le vittime“illustri”  si registrano l’ayatollah Sayyed Hadi Khosroshahi e Mohammad Mirmohammadi, membro del Consiglio per il discernimento.

Come tutto è iniziato- La notizia dei primi due morti per coronavirus nel paese, a Qom, è del 19 febbraio, due giorni prima delle elezioni parlamentari. Da subito si diffonde il timore che il regime stia nascondendo la gravità dell’epidemia e il numero reale dei contagiati per scongiurare una bassa affluenza alle urne. Le elezioni registrano la schiacciante vittoria dei conservatori e degli ultraconservatori mentre i riformisti che appoggiavano il presidente Hassan Rohani prendono il loro minimo storico. L’affluenza, che si temeva bassa, regista il suo record negativo dall’instaurazione della Repubblica Islamica nel 1979: 42,57 percento a livello nazionale e 26,2 percento a Teheran. Le tensioni tra i Pasdaran e l’esecutivo di Rohani, le rivolte che si sono succedute nel paese già dalla fine del 2019 per la crisi economica e le proteste sorte in seguito all’abbattimento di un aereo ucraino, dove persero la vita tanti studenti iraniani, hanno indebolito fortemente la credibilità del regime. Per il presidente riformista si prospetta un ultimo anno di mandato in salita, con un parlamento controllato dai conservatori. 

La reazione del governo – Nonostante l’aumento dei contagi,  il presidente Rohani insisteva nel ripetere che la situazione era sotto controllo e che l’epidemia era «una congiura voluta dai nemici dell’Iran». Solo in seguito al diffondersi del virus in tutto il territorio, Teheran si è resa conto della gravità della situazione. Anticipando molte misure poi adottate in Italia, il governo ha chiuso scuole, teatri, cinema, palestre, concerti e manifestazioni sportive. Non è stata però istituita alcuna zona rossa e gli spostamenti sono a discrezione del cittadino. Le autorità si sono trovate costrette a interdire ai fedeli i luoghi di pellegrinaggio e ad annullare le preghiere del venerdì, fatto mai accaduto prima d’ora. A testimonianza dell’eccezionalità del momento, Teheran ha annunciato la scarcerazione di decine di migliaia di detenuti, tra cui moltissimi prigionieri politici detenuti per “ragioni di sicurezza”.


Ma com’è stato possibile una simile diffusione dell’epidemia e perché il governo ha sottovalutato l’emergenza? «L’Iran con la Cina ha un rapporto molto più stretto rispetto a quello che abbiamo noi: per loro è un partner commerciale importantissimo e a causa delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti non poteva interrompere i voli e le relazioni con la Cina» ci dice Antonello Sacchetti, giornalista e grande conoscitore dell’Iran. Ci spiega che la sottovalutazione ha anche un altro  motivo politico: «I contagi -afferma – sono avvenuti a ridosso delle elezioni e il governo temeva la bassa affluenza. Astensionismo che ci sarebbe stato comunque. Con inflazione record e le sanzioni americane che rendono difficile anche solo l’acquisto di ventilatori negli ospedali, Rohani all’inizio dell’epidemia ha preso tempo. Probabilmente, le autorità non hanno avuto contezza della diffusione del virus. In fondo anche tanti paesi occidentali come Francia e Stati Uniti hanno sottovalutato il problema». Ma c’è stato anche un altro fattore che ha comportato la diffusione del virus: «quando hanno chiuso le scuole -sottolinea Sacchetti – tutte le famiglie agiate della capitale e del sud del paese si sono riversate nelle loro seconde case sul Caspio e questo ha permesso la diffusione anche nel nord. Il popolo iraniano è comunque abituato alle emergenze. Hanno un grado di sopportazione molto più alto del nostro: là i negozi sono pieni di merci e non ci sono file come da noi». L’Iran ha da sempre riserve da parte per far fronte alla carenza di beni a causa delle sanzioni. Il problema, però, è che ha relazioni commerciali con pochissimi paesi: il coronavirus rischia di travolgerle, minando le basi economiche del regime di Teheran.

Autore

Marcello Mamini

Nato a Torino il 10/10/1995. Laureato in culture e letterature del mondo moderno presso l'Università Unito di Torino. Giornalista praticante del XIV Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.