Quanto ci costa navigare in rete gratis

Il tempo è denaro ma anche le nostre informazioni lo sono
Connettendoci ad internet lasciamo traccia dei nostri dati, messi a valore dai big delle rete e che sono sempre meno sicuri

Tracce – Ogni volta che che facciamo una ricerca in rete lasciamo la nostra impronta digitale qua e là. Talvolta questo avviene intenzionalmente: quando ci autentifichiamo in un sito o compiliamo una scheda di dati in un altro. Ma le nostre attività online lasciano tracce anche quando apparentemente non forniamo nessuna informazione personale. Un esempio lampante: connettendoci ad un sito web, il nostro indirizzo IP (l’etichetta che identifica univocamente il nostro dispositivo) viene salvato, così come i click e le interazioni che agiamo all’interno del sito.

Gratis sì, ma a che costo – Insomma, siamo tracciabili al cento per cento. Che importa? Internet ha semplificato le nostre vite e ogni giorno ci offre dei servizi senza i quali non potremmo più immaginare la quotidianità (chi va in un’agenzia di viaggi per comprare un biglietto aereo? Chi invia fax al posto delle email?). Non solo, questi servizi ce li offre gratis. In realtà, sono proprio le impronte digitali che diffondiamo di qua e di là a spiegare il motivo principale per cui la gran parte dei servizi a cui accediamo tramite internet è gratuita. Parliamo di dati, i nostri, che producono per le grandi compagnie del web un giro d’affari molto più remunerativo rispetto al pagamento di piccole cifre da far corrispondere alle prestazioni offerte.

Big data – Una delle nuove frontiere della libertà della rete è quella dei big data, nient’altro che una massa di informazioni raccolte analizzando i movimenti degli utenti online. Si è parlato anche di questo tema alla Festa della Rete. Camilla Sebastiani, dirigente di Agcom – l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – spiega come ancora ci si muova in un quadro non delineato, soprattutto a livello normativo. Secondo lei, un tema che assumerà sempre maggior rilevanza è quello degli algoritmi: «La profilazione che deriva dalla raccolta delle informazioni dell’utente fa sì che veniamo chiusi in un recinto. Ci vengono proposti acquisti, canzoni, informazioni, che ci aspettiamo ci vengano proposte. Si tratta di una finta libertà».

Non così sicuri – Si evolvono le tecnologie ma anche le minacce informatiche. Fino a qualche tempo fa, quando si parlava di virus per il pc si pensava a sabotaggi creati in qualche cantina da nerd in cerca di visibilità. La realtà odierna è ben diversa. Ci sono vere e proprie organizzazioni nate per trafugare dati. Con ransomware ci si riferisce alla pratica sempre più diffusa di chiedere un riscatto per poter sbloccare un dispositivo infetto e recuperare le informazioni rubate. Perché effettivamente, non si parla di proteggere solo un dispositivo, ma l’identità di una persona. I casi sono sempre più frequenti e non riguardano solo i singoli. A finire sotto attacco ci sono state anche l’Università Bicocca di Milano, le Ferrovie dello Stato e il Sistema sanitario nazionale inglese.

Autore

Bianca Giammanco

Nata a Palermo il 9 Giugno 1995. Laureata in Scienze della comunicazione presso l'Università della Svizzera Italiana (Lugano), con un periodo di studio all'Université Lumière Lyon II in Francia. Giornalista praticante presso la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia e studentessa del corso 2019 della Scuola di Politiche.