Medici specializzandi: tra corsi e corsie

La battaglia dei giovani dottori contro la disoccupazione post-laurea
Troppo pochi accessi alla formazione, turni sfibranti per colmare le carenze ed enormi responsabilità

Camici grigi- Li chiamano “camici grigi”, gli aspiranti medici al margine di una professione ambita, tanto delicata quanto affascinante.  Grigi, come il confine che separa le loro mansioni da quelle di un medico strutturato. Sono loro le piccole api operaie che si incrociano tra le corsie ovattate degli ospedali. Sono medici a tutti gli effetti, sei lungi anni a capo chino sui tomi universitari, tre mesi nei reparti a fare pratica, una tesi di laurea, ed ancora un ennesimo esame per essere ammessi all’albo. Una carriera lunga, che però non si esaurisce qui. Nessuno può infatti esercitare la professione medica senza frequentare una scuola di specializzazione. Ma l’impresa non è così semplice: un posto per tutti non c’è.

Il doppio imbuto- In gergo lo chiamano un “doppio imbuto” quello a cui i futuri medici sono sottoposti. Il primo è il test di ammissione alla facoltà di medicina, lo spauracchio dei giovani liceali che sognano il camice. Il secondo, ancor più temibile, è quello per accedere alla formazione specialistica. Ma se i candidati che riescono ad accedervi sono un numero esiguo, dall’altra parte, negli ospedali, c’è un disperato bisogno di loro.

«Ne vengono formati troppo pochi – spiega Gilberto Vincenzoni, segretario Anaao Umbria, sindacato dei medici ospedalieri – ne servirebbero almeno il doppio». Il dato preoccupante è che, anche se si intervenisse ora per colmare questa carenza, sarebbe comunque troppo tardi. Al cuore del problema ci sono, negli anni, una programmazione sbagliata e l’assenza di fondi per aumentare in modo rilevante i posti.

Graduatorie fantasma- Il concorso, su base nazionale, ammette ogni anno sette mila specializzandi. Altrettanti ne rimangono esclusi e si aggiungono ai concorrenti dell’anno successivo. Così il numero dei medici laureati alla ricerca di un camice aumenta, e l’“imbuto” all’accesso sembra sempre più stretto. Ma il paradosso arriva dopo: quando qualcuno degli ammessi rinuncia al suo posto, non viene sostituito con uno scorrimento della graduatoria. La sedia rimane vuota. «Si tratta – spiega ancora Vincenzoni – di circa 700 borse perse ogni anno, un’enormità.»

Specializzandi, specie rara-  Troppi, ma anche troppo pochi: un altro paradosso, quello delle specializzazioni che non sono più ritenute attraenti. Tanti rischi, enorme fatica e troppo modeste soddisfazioni economiche, che aumenterebbero esponenzialmente lavorando fuori dall’ospedale. Tra queste ci sono ginecologia, medicina d’urgenza, pronto soccorso, anestesia, chirurgia generale. «I medici sono stufi di prendere schiaffi- si sfoga il segretario Anaao Vincenzoni – parliamo di turni estenuanti ed elevatissimi rischi legali per stipendi fermi da dieci anni per contratto nazionale» conclude. Sono delle vere e proprie branche a rischio di estinzione: se la programmazione non si adatta anche a queste carenze, queste figure scompariranno.

Il passaggio del testimone- A mancare, sempre di più progressivamente nei prossimi anni, sarà un passaggio di consegne tra i medici “anziani” e i nuovi medici, quel lavoro quotidiano spalla a spalla con i professionisti esperti. Lo specializzando acquisirà, se possibile, le sue capacità in altri modi, ma il rischio sarà tutto sulle spalle del paziente.

Autore

Stefania Blasioli

Nata a Lanciano (CH) il 13/07/1996. Laureata in Economia e Management per Arte, Cultura e Comunicazione presso l'Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. Giornalista praticante del XIV Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.