Gattamelata, un “self made man” di altri tempi

Narnia me genuit/Gattamelata fui: dalle umili origini alla carriera militare.
La vita di Erasmo da Narni al di là della leggenda

Le origini – Un volto pacioso, grandi occhi scuri e un nasone importante. Bello, il Gattamelata, non doveva proprio essere. Eppure il condottiero, capitano di ventura italiano al servizio di Firenze, del Papa e poi della Repubblica di Venezia, riuscì a farne, di strada. Figlio di un fornaio di Todi detto da molti “lo strenuo” per la birichina abitudine di ricorrere spesso alle mani e di Melania Gattelli, da cui deriva probabilmente il soprannome di Gattamelata, Erasmo crebbe in tempi in cui l’Italia era un vero e proprio campo di battaglia. Tra Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, Papato e Visconti, i racconti di assalti, combattimenti e guerre portarono Erasmo ad arruolarsi, a soli 18 anni, nella compagnia di Cecco Broglio di Assisi.

La carriera – Ottenuta in dono la corazza (un’armatura fatta di 134 pezzi alta 206 centimetri per 122 di torace e 74 di spalle, pesante 49 chili) dal suo primo “mentore” e nominato capo-lancia, Erasmo passò presto a compagnie ben più importanti, come quella del grande condottiero Braccio Fortebraccio da Montone. Con lui combattè nel 1424 la celebre battaglia dell’Aquila in cui a fronteggiarsi erano da un parte il Re di Aragona e Perugia e dall’altra Napoli e la Chiesa. Sconfitti i Bracceschi, si unì al Piccinino e a Oddo Fortebraccio mettendosi al servizio di Firenze nella guerra contro Filippo Maria Visconti. Nel 1427 il pontefice Martino V lo prese al suo servizio, colpito dal suo carattere astuto, ma tranquillo. Per più di un anno, suo malgrado, vestì i panni di poliziotto e si occupò di “ripulire” l’Umbria e l’Emilia Romagna dagli ingombranti signorotti. Gli stratagemmi utilizzati e l’astuzia dimostrata in diverse occasioni gli assicurarono una serie di successi (rimasta celebre l’occupazione del Castello di Villafranca a Rimini in cui ingannò i difensori della piazzaforte dicendo loro di essere venuto per pagare un riscatto) e la stima di colleghi e funzionari.

Il periodo veneziano – Al denaro papale si sostituì ben presto quello del Doge. A Venezia fu accolto calorosamente e la Serenissima gli conferì il titolo di nobile. Era il 16 aprile del 1934. Questo fu il periodo più fecondo. Difese strenuamente la Repubblica di Venezia dagli attacchi dei Visconti e riconquistò Verona. E’ a Padova che nel 1440 si ritirò, malato. E’ qui che morì tre anni più tardi. E’ qui che in suo onore Donatello eresse una statua equestre in bronzo che ancora oggi si trova in Piazza del Santo.

Autore

Chiara Jommi Selleri

Nata a Bologna il 13/10/1988. Laureata in Informazione, Editoria e Giornalismo. Giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo di Perugia.