Aaron Swartz, il giovane hacker e il sogno di un web libero

Al Festival di Perugia la vicenda incredibile dell’attivista, trattato alla stregua di un terrorista dalla giustizia americana e morto suicida nel 2013
Il giurista Ziccardi: «Il caso non è servito a sensibilizzare all’uso delle risorse in rete né a incoraggiare riforme normative in materia di crimini informatici»

La breve vita di Aaron Swartz, morto suicida l’11 gennaio 2013, ha tantissimi aspetti degni di nota. Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica all’Università di Milano e autore del recente Aggiustare il mondo: la vita, il processo e l’eredità dell’hacker Aaron Swartz (Ledizioni 2022), ha provato a metterli in fila davanti al pubblico della XVII edizione del Festival del giornalismo di Perugia. Da precoce genio dell’informatica a «scrittore, attivista e hacker» – così Swartz si definiva sul proprio profilo LinkedIn -, Ziccardi ha ricordato, in dialogo con Francesca Bosco, le energie e la passione del giovane statunitense dedicate a combattere per l’open access e per «liberare contenuti e cultura dai confini, e pedaggi, delle grandi banche dati».

Aaron Swartz (1986-2013)

Un adolescente di talento in cerca di un riconoscimento sociale – Nato nel 1986 a Chicago, nel vivace sobborgo di Highland Park, Swartz si avvicina precocemente al mondo dell’informatica grazie al padre, fondatore di una società di software. Dal carattere schivo, frequenta pochissimo la scuola perché, esemplifica Ziccardi, «gli insegnanti sanno dargli al massimo verdura riscaldata, mentre lui chiede la bistecca al sangue». A 14 anni è coautore della prima versione del formato RSS per la pubblicazione di documenti sui siti web; nel 2005 è cofondatore di Reddit e, due anni dopo, è tra gli ideatori della biblioteca digitale universale Open Library. Da sempre convinto dell’urgenza di rendere la conoscenza accessibile per tutti, nel 2008 – appena ventiduenne – finisce nel mirino dell’FBI per aver prelevato da un archivio elettronico di proprietà dello Stato milioni di copie di documenti pubblici provenienti dai tribunali federali, per poi pubblicarli e renderli disponibili gratuitamente sul web. Nel gennaio 2011 è arrestato per aver scaricato milioni di articoli di riviste accademiche dalla libreria digitale JSTOR del MIT. Decide di togliersi la vita prima dell’inizio del processo che, in caso di condanna, gli avrebbe comminato un’ammenda fino a un milione di dollari e una detenzione fino a 35 anni di carcere: una pena equiparabile ai reati di terrorismo.  

Da attivista tecnologico a criminale informatico – Ziccardi sottolinea che la severa legislazione nordamericana in materia di intrusioni informatiche risale a un film di inizio anni Ottanta. Wargames (1983), con protagonista un giovane e promettente hacker interpretato da Matthew Broderick, ventilò per primo la possibilità di attacchi cibernetici globali ad opera di teenager curiosi ed esperti di computer. L’allora presidente Ronald Reagan si fece proiettare privatamente il film a Camp David; pochi mesi dopo fu emanata una normativa specifica sui reati digitali: per la prima volta, e con pene severissime, si puniva l’accesso a sistemi informatici senza autorizzazione. Furono quelli gli anni – siamo ancora in epoca di Guerra Fredda – in cui il termine “hacker” divenne definitivamente, per l’opinione pubblica, sinonimo di “criminale informatico”.

L’eredità di Aaron – Nel gennaio 2009 – ricorda il relatore – Barack Obama aveva giurato come 44° presidente degli Stati Uniti. Il suo motto era «A new birth of freedom», una “rinascita di libertà”. In quegli stessi anni, la rigidissima politica statunitense sulla regolamentazione dei crimini informatici d’era reaganiana inizia a prendere di mira Swartz, per il suo attivismo politico e tecnologico di stampo libertario, mentre i suoi coetanei più talentuosi sfruttano l’onda della Silicon Valley per arricchirsi. Una normativa, quella nordamericana, ancora in attesa di una «seria riforma legislativa», conclude Ziccardi. «L’insegnamento di Aaron, la sua passione, sono ancora oggi, a distanza di dieci anni dalla morte, un esempio per tantissimi cittadini della società dell’informazione».

Autore

Enrico D'Amo

Originario di Piacenza, classe 1996. Laureato in Lettere all'Università di Torino. Giornalista praticante del XVI biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.