Cannabis light, regole “dark”

La pianta vive da qualche anno una nuova fioritura con la vendita al dettaglio, grazie all'ambiguità delle leggi in Italia e in Europa
Assocanapa e i commercianti: «Argomento tabù, l’inerzia del legislatore favorisce il mercato nero e l’illegalità»

Olio, Pasta, Infusi, Farina, Birra, Tè. Sono solo alcuni dei prodotti a base di canapa in vendita nei numerosi “cannabis shop” presenti in tutta Italia e l’Umbria non fa eccezione. Ma a trainare i loro affari sono altri prodotti: Orange Diesel, Lemon Cheese, Mango Kush, Royal Jack. Nomi che fanno tutti riferimento a varietà di infiorescenze secche, vendute in confezioni che però specificano due caratteristiche: THC inferiore allo 0,5, uso tecnico e per collezionismo.

È il fenomeno cannabis light, salito alla ribalta da qualche anno. «Il termine fu lanciato dall’azienda Easyjoint nel 2017 alla fiera di settore Indica Sativa – spiega Federica Baravalle, rappresentante dell’associazione Assocanapa che dal 1998 lavora nel settore – e promuoveva l’uso dei fiori di canapa per scopo ludico. I fiori in breve tempo divennero molto richiesti e in tutta Italia si diffusero negozi dedicati». I costi per avviare una di queste attività commerciali non erano alti: bastavano un piccolo appezzamento di terra e la pazienza di coltivare le piante.

Il nome cannabis spaventa ancora oggi- C’è chi appena sente questa parola la associa agli “spinelli” di marijuana, chi la ha adottata come simbolo di trasgressione e chi invece crede nei mille usi della pianta, tra cui quello curativo. Le difficoltà a regolarizzarla partono dalla classificazione delle specie, che è pressoché impossibile: a partire dai due tipi più comunemente riconosciuti – indica e sativa – si generano infatti infinite combinazioni, generando di continuo nuove specie non catalogate. Questo ha spinto i governi di molti paesi a darle un colpo d’accetta, con restrizioni variabili a coltivazione, vendita e uso. Sotto scrutinio in particolare c’è una sigla, THC. Assieme al CBD è uno dei due composti principali della pianta, e il suo effetto psicoattivo ha da sempre creato dispute circa la sua pericolosità. Nell’Unione Europea il limite di THC è stato fissato allo 0,2%, sopra il quale la pianta viene considerata stupefacente. Tutte le varietà coltivate, per essere legali, devono inoltre rientrare in un apposito registro.

Prodotti a base di cannabis light e accessori esposti da XXXJoint a Perugia

I limiti della legge europea-«Il problema è che la canapa è una pianta molto volubile – prosegue Baravalle – ci sono state annate in cui le colture ad uso industriale, seppur trattate per azzerare il THC, hanno sforato lo stesso il limite dello 0,2, classificandosi come stupefacenti. In Italia, la legge 242/2016 ha previsto una “soglia di tolleranza” compresa da una media dallo 0,2 allo 0,6 di THC per l’intera coltivazione senza che l’agricoltore incorresse in conseguenze legali.

La legge italiana, nata per aiutare i coltivatori, non permette tuttavia di esportare alcuna pianta che sfori la soglia dello 0,2%. Un modo per abbattere il THC è mediante l’interazione con solventi, pratiche che però hanno talvolta dato luogo a gravi incidenti. Discorso diverso per la canapa importata che, spiega Baravalle, «i controlli doganali permettono, purché non superi la soglia dello 0,6% di THC». Esattamente come quella cresciuta in Italia.

Valerio Barcarotti, gestore del perugino Hemp Zone

Gli effetti della legge 242/2016 tuttavia non si fermano qui- Il business della cannabis light infatti si basa proprio su questo stesso margine di tolleranza. La legge, allo stato attuale, non concepisce l’uso ludico della pianta. Ma allo stesso tempo, non può vietare di vendere le infiorescenze nate da coltivazioni legali. L’intera responsabilità d’uso ricade dunque sul consumatore. «Il problema è che la legge non lo tutela, nemmeno nel caso in cui il THC rientri nella soglia consentita – spiega Valerio Barcarotti, gestore del perugino HempZone – ma è ovvio che il cliente che compra i fiori, venduti come collezionabili, poi li consuma». Con lo stesso stratagemma, molti grow shop vendono anche sementi e promettono la crescita indoor di piante con THC a livelli molto più alti. 

Ma è davvero così pericolosa?- «C’è ancora una divisione troppo ampia tra favorevoli e detrattori della cannabis – osserva Giorgia Giannini, addetta alla sede perugina di XXX Joint – e la discussione nelle istituzioni è assente o assai polarizzata. Credo che con un tale vuoto normativo la discussione sia ancora più importante per conoscere vantaggi e rischi. È un discorso che non possiamo più rimandare». 

Autore

Ilaria Puccini

Nata a Pisa nel 1991. Laureata in Mediazione Linguistica e Culturale a Venezia, prosegue gli studi con una laurea magistrale in Relazioni Internazionali alla Renmin University of China di Pechino. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.