Le sue Madonne sono giovani madri che guardano i propri figli con una tenerezza infinita, sempre diversa. I suoi angioletti tanto iconici da diventare simboli pubblicitari. Raffaello Sanzio ha segnato il Rinascimento, tanto che oggi per ricordarlo basta il nome, come per Michelangelo, Dante e Leonardo. Eppure, sostiene Vittorio Sgarbi, «in lui la perfezione è un handicap perché la perfezione è finita».
La nascita di una pittura nuova – Bambino prodigio, il padre – modesto pittore di Urbino che morirà di lì a poco – lo affida nel 1494, appena undicenne, a uno dei più noti artisti del tempo, il Perugino. Il trasferimento in Umbria dà al giovane talento la possibilità di mettersi presto in mostra, tanto che molti volti del suo mentore assumono presto i tratti inconfondibili dell’allievo. Raffaello «è un pittore sublime che prende dal maestro quello che il padre non gli può dare e aggiunge qualcosa di più, determinando la nascita di una pittura nuova» afferma Sgarbi.

Un autore di “epifanie” – Raffaello, prosegue il critico, «non racconta delle storie, come fa la gran parte dei pittori, ma concetti in una maniera accattivante: la Disputa del sacramento, opera del 1509, è un trattato teologico in cui dimostra di sapere cosa è l’eucarestia e che deve aver sconvolto il committente, papa Giulio II. D’altra parte, la Scuola di Atene è un trionfo dell’occidente, della modernità, un insieme di grandi teste da Platone a Michelangelo (i cui tratti sono attribuiti a Eraclito, ndr), uno spazio in cui stanno tutti quelli che hanno dato all’umanità una parte del proprio pensiero». Raffaello muore a Roma nel 1520, a 37 anni, a causa di una misteriosa malattia: la sua fine arriva dopo quindici giorni di tormenti e inutili cure. Appena venticinquenne si era trasferito da Firenze alla corte di Giulio II, il Papa guerriero, da lui ritratto in una posa innovativa per l’epoca, come se lo spettatore fosse in piedi accanto al pontefice, seduto e assorto nei propri pensieri.
La disputa del sacramento (dettaglio), 1509, Musei vaticani, Città del Vaticano La scuola di Atene (dettaglio, a sinistra Platone, a destra Aristotele), 1509 circa, Musei vaticani, Città del Vaticano
Il pregiudizio di Sgarbi – Vittorio Sgarbi di recente ha pubblicato un libro intitolato Raffaello. Un dio mortale che ha presentato in molti teatri in giro per l’Italia. In questi incontri non ha mai nascosto una certa antipatia verso l’artista: «Il pregiudizio era che una perfezione così compiuta non ha bisogno di parole. Si è detto e scritto tanto su Raffaello che sembrerebbe meglio astenersi. Non è un pittore che ti consente di fare delle grandi scoperte e allora l’antipatia è una specie di distacco che lui stesso chiede, impone». Un’idea che però «è stata vinta da una convivenza lunga quasi un anno, in cui per molte sere, nonostante il Covid, ho parlato a diversi pubblici di Raffaello cercando di farne capire l’essenza e questo mi ha reso quasi un suo familiare. Sì, direi che il pregiudizio è stato vinto dalla frequentazione».
La perfezione rotta dalla vita – Questa «perfezione finita» viene superata negli anni della maturità, quando Raffaello inizia a «sentire la vita, a sentire la realtà, e questa è una profondissima innovazione nella sua pittura» afferma Sgarbi. Ne è un emblema uno dei suoi ultimi lavori: l’autoritratto custodito al Louvre, in cui è possibile rintracciare, nel volto dell’artista, l’uomo segnato dal peso del vivere e da un’ombra di malinconia. Una persona, finalmente, così diversa dal Raffaello raffigurato in un’altra opera oggi nel museo degli Uffizi e risalente a una dozzina di anni prima, che ritrae solo «un bravissimo ragazzo».
Autoritratto con un amico, 1518 circa, Louvre, Parigi
Autoritratto, 1506 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze