Umbria, la lunga strada della transizione ecologica

Vecchiocattivi (Arpa): "Abbiamo molte potenzialità e problematiche minori rispetto ad altre regioni". In arrivo 25 miliardi per le rinnovabili dal Pnrr
Negli ultimi anni in calo le emissioni di CO2, ma preoccupano le polveri sottili. Solo 47 imprese aderiscono al monitoraggio UE sulla sostenibilità

Se si vuole capire quanto sia sostenibile l’Umbria, l’indicatore che meglio fotografa le attività umane è quello della qualità dell’aria. «Le cause dell’inquinamento sono complesse e la modalità giusta per affrontarle non sarebbe quella locale», mette subito in chiaro Marco Vecchiocattivi, coordinatore tecnico scientifico per la qualità dell’aria di Arpa Umbria. Nel tempo, grazie alle politiche europee, la situazione è migliorata: «Alcuni inquinanti sono così diminuiti che oggi sono scomparsi, come il monossido di carbonio o gli ossidi di zolfo. L’ultima centrale a carbone in Umbria è stata chiusa qualche anno fa». Altri, invece, rimangono a livelli allarmanti, come le polveri sottili. 

Inquinamento – Un esempio di quanto sia complesso analizzare l’inquinamento, e scegliere come attuare la transizione ecologica, arriva dal riscaldamento prodotto dalle stufe a pellet. «Dal punto di vista delle emissioni di CO2 è ottimo – spiega Vecchiocattivi – ma per quanto riguarda le polveri fini è pessimo. Un giorno riscaldato a legna equivale a 900 giorni riscaldati a metano». Nell’arco del 2020, i dati Arpa hanno calcolato che la soglia consentita del particolato PM10 è stata superata 26 volte a Perugia e 49 a Terni. Ma nonostante questi dati, «l’Umbria è messa benissimo rispetto ad altre zone d’Italia», analizza Vecchiocattivi: «nel 2019, ad esempio, non c’è stato alcun superamento degli indici della qualità dell’aria».

Produzione energetica – Quasi un terzo dei gas inquinanti emessi derivano dalla produzione di energia, e l’Umbria è tra le regioni d’Italia più virtuose in questo campo: quasi il 45% dell’energia prodotta ad uso interno arriva da fonti rinnovabili. In primis dal settore idrico, che nel 2018 ha prodotto 1.787 GigaWatt/ora sul totale del fabbisogno regionale di 5.315. Il vento è invece la fonte pulita meno utilizzata: solo 2,8 GigaWatt all’anno provengono dall’eolico. Il fotovoltaico ancora meno, con 499 MegaWatt prodotti nel 2020, secondo i dati Istat. Lo scoglio più grande sta nella burocrazia necessaria per aprire un impianto che sfrutti le fonti pulite. Ora si aspetta il Pnrr, che prevede di investire 25 miliardi di euro nella transizione energetica verso fonti pulite.

Industria e agricoltura – Spostandoci al settore delle piccole e medie imprese, la strada da fare per la transizione ecologica appare ancora più in salita. Solo 47 imprese umbre, su circa 70mila presenti sul territorio, aderiscono all’Eco-Management and Audit Scheme, ovvero il monitoraggio promosso dall’Unione Europea per valutare e migliorare le prestazioni ambientali delle aziende. Solo il turismo sembra puntare di più sul “green”, con oltre il 23% delle strutture ricettive ritenute sostenibili. Parlando invece di agricoltura, nel 2018 le coltivazioni biologiche si fermavano al 13% della superficie agricola, in calo dello 0,5% sull’anno precedente. Questi dati mostrano che l’Umbria si presenta con esempi virtuosi di sostenibilità, ma la strada per la transizione ecologica è ancora lunga. «Non c’è una regione più o meno sostenibile – spiega infine Vecchiocattivi – l’Umbria ha molte potenzialità, ma solo perché parte da problematiche minori rispetto ad altre regioni. Dipende tutto dalle politiche ambientali».

Autore

Francesco Ferasin

Nato a Vicenza il 01/02/1997. Laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Verona. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.