L’universo food: «Non reggeremo una seconda ondata del virus»

A causa del lockdown, uno dei settori più importanti della nostra economia e della nostra cultura non è mai stato così debole. Storie, testimonianze e previsioni

Da chef a porta-pizze, da seicento euro in una sera, quella di Capodanno, a cinque euro l’ora, sperando nelle mance: quella di Andrea, ventisette anni, è una delle tante storie di ordinaria quarantena. Laureato in economia aziendale con il sogno di lavorare nel mondo della ristorazione, dopo le prime esperienze da “private chef” in giro per gli agriturismi umbri, per lui si erano aperte molte porte. Catering, aiuto-cuoco in locali del centro storico di Perugia, progetti di promozione turistica ed enogastronomica. Mesi di fatica che il Dpcm “del lockdown” – quello che ha reso tutta Italia zona rossa a partire dal 9 marzo – ha bruciato in un istante. Non solo in Italia: la pandemia ha chiuso in casa un terzo della popolazione mondiale, una scelta almeno inizialmente obbligata da parte dei governi, per evitare la diffusione incontrollata del contagio. «Da un giorno all’altro non mi ha cercato più nessuno», spiega, «Ho dovuto riorganizzarmi rapidamente nell’unico settore che offriva lavoro durante la quarantena: il food delivery, anche se ha significato un demansionamento importante». 

Dopo un percorso travagliato e un netto miglioramento nei dati epidemiologici, con il Dpcm del 17 maggio, frutto di un’intesa fra lo Stato centrale e le Regioni, il mondo del food tira un respiro di sollievo: apertura di ristoranti e bar con due settimane di anticipo rispetto alle prime ipotesi e distanza fra tavoli di un metro anziché quattro. I ristoratori si stanno organizzando in ordine sparso. C’è chi mantiene comunque una distanza più ampia per rassicurare la clientela, chi utilizza divisori di plexiglass fra tavolo e tavolo, chi accetta la noiosa quanto necessaria igienizzazione dell’intero menu a ogni utilizzo e chi invece li fornisce usa e getta. Ma non mancano dubbi sulla normativa. I camerieri devono avere a loro volta un metro di spazio per passare fra i tavoli? Incognite anche sul tracciamento delle prenotazioni: chi prenota deve fornire nome, cognome e numero di telefono, che i ristoratori devono conservare per quindici giorni per qualsiasi eventualità legata al contagio. Lo stesso non vale però per gli altri che lo accompagnano. Perché? 

Un chiosco di street food in centro storico a Perugia

In Umbria ci sono quasi cinquemila fra bar e ristoranti. Per alcuni, come l’Osteria Favorita, sulle pendici del monte Subasio, riaprire è più facile: «Abbiamo molto spazio anche nel giardino esterno», racconta Cesare, il titolare «con l’arrivo della bella stagione questo ci permetterà di tenere i tavoli a tre metri di distanza senza diminuire di molto i coperti, che per ora sono la metà del regime normale». Nel primo week end di riapertura, la Favorita ha ricevuto trenta prenotazioni: segnali incoraggianti. Ma molti esercizi, nonostante la nuova normativa sia meno stringente, rimarranno chiusi. «La nostra stima a livello nazionale è che avrebbe riaperto circa un esercizio su due, in Umbria qualcosa in più», dice Romano Cardinali, presidente di Fipe-Confcommercio e titolare del Ristorante Decò di Ponte San Giovanni. «Il vero problema è che questi tre mesi di chiusura arrivano dopo quindici anni di crisi ininterrotta» prosegue «negli anni Novanta non ce ne saremmo neppure accorti, ora solo una cosa è certa: la nostra economia non reggerà una seconda ondata del virus». 

Addio, aperitivo – Un altro rito degli italiani destinato ad entrare in crisi profonda è l’aperitivo. La normativa infatti vieta i buffet e molti imprenditori stanno tentando di attrezzarsi con taglieri singoli e posateria, sale ed olio monouso. «Il problema è che aumentano i costi e diminuiscono i ricavi», spiega Andrea Corboli, titolare del Bar Pellas di Perugia e della pizzeria I Mattarelli. «Noi dipendiamo dalla voglia di spendere della clientela: non possiamo permetterci di alzare i prezzi, ma i costi per noi stanno schizzando alle stelle», conclude. Intanto, nel centro storico del capoluogo, molte attività di piccola metratura, che lavorano prevalentemente con i turisti, hanno tenuto le serrande abbassate sperando di riprendere in autunno.

Nodo turismo – Far ripartire la ristorazione, in molte zone dell’Umbria, significa far ripartire il turismo. «Sono due settori fortemente collegati», commenta l’assessore regionale Michele Fioroni: «In questo senso, la polemica sull’Umbria “ad alto rischio” di contagi – aggiunge – è stata una sciagura oltre che un grave errore statistico (di fatto quando i casi sono pochissimi, anche un focolaio minuscolo alza di molto il famigerato indice R0, ndr). Siamo fra le regioni più sicure e confidiamo che le nostre ottime performance ci permetteranno di posizionarci solidamente alla ripresa del mercato». 

La copertina di “I conti con l’Oste”, esordio dello chef-scrittore Tommaso Melilli

Ombre e incognite avvolgono il futuro della nostra ristorazione, legata a doppio filo a un’idea di convivialità tipica della cultura mediterranea. Ne abbiamo parlato con Tommaso Melilli, giovane chef a Parigi e autore del libro “I conti con l’Oste” (Einaudi, 2020), un piccolo caso editoriale. «In Italia continua a farsi cucina interessante, perché resiste lo spazio informale della trattoria come collante fra città e campagna: al ristorante dopo la quarantena andrà chi ci tiene veramente». A chi sostiene che il lockdown abbia ferito a morte la nostra storia culinaria, risponde: «Non diamo alla quarantena la colpa di problemi molto più antichi: come tutti gli altri ormai mangiamo cibo ultra-processato e nonostante la qualità, la nostra ristorazione ha difetti strutturali molto chiari a chi ha visto come si lavora all’estero».  Dopo dieci anni in Francia, il ritorno nel Belpaese è stato dettato dalla volontà di “fare i conti con l’oste”, cioè con le proprie radici: «Ho trovato un’Italia sola, un po’ approssimativa, che non vede la fortuna che ha fuori dalla finestra. È il momento di riscoprire una diversa soluzione esistenziale». Magari sarà proprio questo periodo sciagurato a dare l’abbrivio. 

Autore

Giovanni Maria Gambini

Nato a Assisi il 23 aprile 1992. Diplomato al Liceo Classico A. Mariotti di Perugia. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Perugia, con due periodi Erasmus a Madrid e Lisbona. Giornalista praticante del XIV biennio della SGRTV.