Coltivare il capitale umano

Il lavoro, la disciplina, ma anche il rispetto per gli altri e la multiculturalità: come funzionano davvero i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale
In un Paese provato dalla disoccupazione giovanile e dall'abbandono scolastico, le regioni hanno provato ad avanzare una proposta: si tratta dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) per imparare presto un mestiere e per allenarsi alla convivenza fra culture diverse

La scuola, che fatica. Per alcuni più di altri: in Italia gli abbandoni scolastici si aggirano intorno al 15%. La colpa non è solo della delusione per i brutti voti, ma anche della sfiducia verso l’utilità degli studi, non troppo strana in un Paese che vanta un tasso di disoccupazione giovanile al 36,4% (dati Istat aggiornati al 1 dicembre 2016). Per chi preferisce la pratica alla teoria esiste sempre la possibilità di iscriversi a uno dei percorsi di Formazione Professionale finanziati dalla Regione. Dai motori alla cucina, vengono valorizzate le abilità di ragazzi che non amano i libri e hanno voglia di rimboccarsi le maniche.

Un’occasione o un ripiego? Anche la Regione Umbria ha provato a dare una risposta al problema. Adriano Bei, responsabile direzione regionale Attività Produttive, Lavoro, Formazione e Istruzione in Umbria, spiega: «In questo anno scolastico stiamo sperimentando l’inserimento di chi conclude il primo ciclo di istruzione in ritardo, con 15 anni di età compiuti, per diminuire il rischio di uscita dai sistemi scolastici». Il rischio è concreto; la perplessità, semmai, è che in questo modo gli IeFP diventino un ripiego, piuttosto che una valida alternativa alla scuola superiore. «L’obiettivo della Regione è sostenere i giovani in situazioni di disagio e favorire un più diretto accesso al mercato del lavoro». Gli IeFP accompagnano i ragazzi verso le aziende, attraverso i tirocini e un ufficio di job placement che li aiuta a redigere un curriculum, incrociando domanda e offerta.

Gli strumenti del mestiere: costanza e inclusione sociale.
Nei laboratori non si impara solo a istallare impianti o a riparare motori: nelle aule lavorano fianco a fianco ragazzi diversi per esperienze, nazionalità e religione. Alcuni arrivano con una storia difficile alle spalle e senza sapere una parola di italiano. Certo, raccontano i docenti, a volte bisogna tenere a freno i caratteri difficili, ma insegnare un mestiere ai ragazzi significa fornire loro opportunità e aiutarli a trovare il loro posto nella società. Di generazione in generazione, una delle principali funzioni della scuola è l’educazione alla socialità: lo ha fatto nell’Italia postunitaria e analfabeta, continua a farlo ora in una comunità sempre più grande e sempre più accogliente.

Autore

Beatrice Manca

Nata a Roma il 27 novembre 1992 e cresciuta a Viterbo. Laureata a Pisa in Comunicazione nel 2014 e in Editoria e Giornalismo all'Università di Verona nel 2016.