di Francesco Ferasin e Alberto Vigonesi
«Cosa serve per essere un giornalista da manuale negli Stati Uniti? Saper nuotare». Helene Cooper è così. Schietta, diretta e senza il minimo snobismo nonostante un curriculum da far invidia. Nata nel 1966 in Liberia, approda negli Stati Uniti come rifugiata a soli 13 anni. Qui studia giornalismo alla University of North Carolina, senza però laurearsi. «Serviva passare un test di nuoto – confida – ma io non sono brava in acqua». Così niente laurea, ma niente paura. «Inizio a collaborare come freelance con diversi quotidiani e a nessuno è mai importato del titolo accademico». Il “pezzo di carta” arriva, finalmente, solo pochi anni fa: «Dall’Università – rivela con un sorriso – mi hanno chiamato come speaker alla cerimonia di apertura dell’anno accademico. In cambio – scherza – ho avuto quel benedetto certificato che dimostra che so nuotare, in modo da ottenere la laurea».
Dal 1997 al 2000 la Cooper lavora come corrispondente da Londra per il Wall Street Journal: «Dovevo seguire – spiega – il processo di introduzione dell’Euro. All’inizio ero dubbiosa, perché non ero esperta di economia. Ma questo lavoro mi ha permesso di viaggiare per l’Europa raccontando i cambiamenti della società ed è stato un periodo fantastico». Quindi il ritorno oltreoceano e, dal 2004, il passaggio al New York Times. Nel 2009, con l’inizio della presidenza Obama, diventa la corrispondente dalla Casa Bianca. Nel 2015 vince il premio Pulitzer per il reportage della crisi di ebola dalla sua Liberia e, per lo stesso lavoro, le vengono attribuiti il premio George Polk e il premio Overseas Press Club. Adesso, sempre per il NYT, è inviata al Pentagono. «In questi giorni – dice – mi occupo della guerra in Ucraina, in particolare sul ruolo dei mercenari nello schieramento russo».
Abituata a tutto, nei prossimi mesi potrebbe esserci una nuova sfida. «Ho chiesto al caporedattore – anticipa – di poter andare in Qatar per il Mondiale di calcio. Io di sport non so nulla, ma vorrei approfondire tutto quello che circonda un grande evento in un paese come quello arabo. Pensavo che la proposta venisse liquidata quasi come uno scherzo, invece mi ha detto che ci sta pensando».
C’è però un posto dove lei è stata più volte e, pur non essendo una giornalista enogastronomica, è proprio un articolo apparso sul New York Times a farle vincere l’ultima edizione del premio “Raccontami l’Umbria“. Il pezzo parla di uno squisito “agnello scottadito alla brace” mangiato in un ristorante a Castelluccio di Norcia. Anche se “a me non piace l’agnello”, mette subito in chiaro nell’incipit, a quanto pare per quello umbro si può fare un’eccezione. Roba da far venire l’acquolina in bocca. Cibo, panorami mozzafiato, piccoli borghi: l’articolo in realtà vuole mettere in luce la resilienza di Castelluccio, uno dei luoghi più colpiti dal terremoto del 2016.
«Se Castelluccio si sta riprendendo, ce la faremo tutti. È un esempio di come superare le catastrofi naturali che ci colpiscono». Dal 2004 Helene Cooper arriva in Umbria ogni anno ma solo nel 2011 ha scoperto per la prima volta il suggestivo Pian Grande. Sotto i suoi occhi si sono aperti i campi di lenticchie in fiore tra maggio e giugno. E lì si è commossa. Ma l’emozione si è presentata di nuovo quando lo scorso anno è riuscita a tornarci. Di nuovo sul Pian Grande, di nuovo il suo agnello scottadito, tra le strade tornate agibili e la pandemia che fa un po’ meno paura. Di nuovo ha immerso lo sguardo nei campi in fiore. E almeno qui non deve nuotare.