Una crisi “ambientale” al sapore di grappa

Le accuse di inquinamento alle Distillerie Di Lorenzo. Il proprietario: «In ginocchio poiché vessati da anni di contenziosi giudiziari»
Dopo l'ordinanza che prescriveva lo stop all'attività degli impianti, la Regione Umbria fa un passo indietro causando malumori fra i cittadini di Ponte Valleceppi. Intanto, si attende il 22 marzo per l'udienza del Tribunale fallimentare che segnerà il destino dell'azienda

Il fumo bianco che si alza dalla ciminiera, un tratto caratteristico per chi vive nella zona di Ponte Valleceppi (Perugia). Un fumo che potrebbe sparire, con la possibile chiusura delle storiche Distillerie Di Lorenzo.

Una storia centenaria – Distillatori dalla fine dell’Ottocento, la famiglia Di Sarno arriva in Umbria negli anni Cinquanta. Nel loro impianto si producono brandy e grappe e da oltre vent’anni sono al centro di contenziosi giudiziari con Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale), istituzioni locali e gruppi di ambientalisti.

Le accuse e la risposta dei proprietari – Nel corso del tempo, singoli cittadini e autorità competenti hanno denunciato violazioni in materia urbanistica e ambientale, fra cui la costruzione di opere abusive, il superamento dei limiti consentiti sulle emissioni atmosferiche, lo sversamento nel Tevere di fanghi e borlande. Accuse rigettate da Gianluca Di Sarno, proprietario e amministratore, secondo cui: «Si è sempre trattato di casi isolati, spesso legati a buchi autorizzativi del nostro impianto. L’azienda rispetta tutte le norme di legge». «Bisogna creare – sostiene – un equilibrio fra ambiente e progresso».

Il comitato verde – Hanno scritto centinaia di volantini, organizzato convegni, petizioni e redatto esposti e ricorsi all’autorità giudiziaria. Da più di vent’anni, il comitato “I Molini di Fortebraccio” si batte – fra la zona di Ponte Valleceppi e Pretola – per il rispetto delle norme a salvaguardia della salute, dell’ambiente e di uno sviluppo economico sostenibile. Maria Rosa Rizzi è entrata a farne parte nel 2002. Dopo essersi trasferita a Perugia, ha messo a disposizione il suo tempo e le sue risorse per difendere un territorio da cui sente di essere stata adottata.

La crisi e il rischio bancarotta – Da novembre 2018, l’impresa ha dichiarato l’insostenibilità finanziaria, avviando la procedura di concordato in continuità. I creditori – banche, fornitori, dipendenti – hanno già votato e ora si attende la decisione finale del Tribunale fallimentare di Perugia. Se l’accordo proposto venisse accettato, l’azienda avrebbe cinque anni per ripagare i debiti ed uscire dalla crisi. In caso contrario andrebbe in bancarotta e chiuderebbe l’attività. L’udienza si terrà il prossimo 22 marzo e secondo l’amministratore Di Sarno: «Ci sono tutti i presupposti affinché il giudice possa accogliere la nostra richiesta. Siamo fiduciosi».

La mega multa – Ad aver dato il colpo di grazia alla tenuta dei conti, una multa di 3.5 milioni che le Distillerie hanno ricevuto lo scorso settembre. I magistrati hanno condannato l’azienda per aver prodotto attestazioni false che certificavano l’utilizzo di impianti alimentati da fonti rinnovabili, ottenendo in questo modo gli incentivi previsti per la produzione di energia verde. Interpellato su questo tema, il proprietario ha preferito non rispondere.

Le ordinanze regionali e le soluzioni proposte delle Distillerie – Con due ordinanze firmate a novembre 2018 e successivamente a gennaio 2019, la Regione Umbria ha fermato la produzione. Sono state riscontrate emissioni di elevate concentrazioni di monossido di carbonio, con valori medi giornalieri superiori rispetto al massimo consentito. A Febbraio, Palazzo Donini ha revocato la “cessazione dell’esercizio degli impianti” causando malumori tra i cittadini di Ponte Valleceppi.
«Se la media della concentrazione di polveri consentita è di 25 – ci dice Gianluca Di Sarno – noi ad oggi siamo sotto i 10 e questo è grazie alle soluzioni che abbiamo implementato». Il proprietario delle Distillerie fa riferimento a due misure. Da un lato, l’installazione di una seconda pompa che dimezza i tempi del lavaggio dei filtri (cioè quando l’impianto cessa momentaneamente di pulire i fumi e quindi le concentrazioni di monossido di carbonio sono più elevate). «In questo modo siamo passati da sette minuti di fermo a circa due, tre». La seconda misura è la riduzione del numero dei lavaggi: «Dai sette che effettuavamo in origine, adesso ne facciamo solo due. Abbiamo anche dato il via libera alla Regione per certificare la sonda che analizza le nostre emissioni. In questo modo avranno dati inconfutabili entro la primavera».

Il faccia a faccia – Nonostante il riconoscimento che alcuni degli interventi prescritti sono stati effettuati, secondo il rapporto dell’Arpa queste misure non sarebbero sufficienti per quanto riguarda la riduzione delle concentrazioni di CO. Il 22 febbraio, un’assemblea pubblica ha riunito residenti della zona, rappresentanti istituzionali e medici dell’Isde (Associazione Medici per l’ambiente) per discutere della revoca da parte della Regione. Nessuno dei presenti si aspettava che, a pochi secondi dall’inizio del dibattito, si sarebbero presentati i proprietari delle Distillerie, seguiti da una trentina di dipendenti con i gilet gialli da lavoro ancora indosso. «Dal momento che si parlerà di noi – ci dice Gianluca Di Sarno, seduto accanto alla sorella Irma – abbiamo pensato di venire ad ascoltare ed a rispondere ai dubbi e alle preoccupazioni dei cittadini». Un incontro faccia a faccia fra le due parti non era mai avvenuto e nella sala si è respirato per tutta la sera un clima di tensione.

Lavoro o ambiente? – Secondo Michele Greco, segretario generale di Flai Cgil Umbria, bisogna puntare su un approccio ecosostenibile ma allo stesso tempo «evitare l’ennesimo colpo all’economia del nostro territorio». Il sindacato ha lanciato un allarme, invitando i soggetti interessati a farsi avanti in caso di un eventuale fallimento. Per il sindacalista, la situazione di crisi è da ricondurre esclusivamente alla gestione dei vertici aziendali. Di diverso avviso i Di Sarno: «Non è un problema di gestione di conti. Se non fossimo stati vessati da una massa di contenziosi giudiziari, non avremmo avuto necessità di ricorrere al concordato». Ritorna l’atavico dilemma lavoro-ambiente: garantire un’occupazione per cinquanta persone – a cui se ne aggiungono altre cento considerato l’indotto – ma allo stesso tempo eliminare, o per lo meno ridurre, gli impatti sul territorio.

Autore

Bianca Giammanco

Nata a Palermo il 9 Giugno 1995. Laureata in Scienze della comunicazione presso l'Università della Svizzera Italiana (Lugano), con un periodo di studio all'Université Lumière Lyon II in Francia. Giornalista praticante presso la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia e studentessa del corso 2019 della Scuola di Politiche.