“Se l’ape scomparisse dalla faccia della Terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”. Benché l’attribuzione di questa frase ad Albert Einstein sia stata smentita, il suo messaggio non si discosta troppo dalla realtà. Secondo l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, gli Apoidei sono responsabili dell’impollinazione di circa il 70% della vegetazione mondiale. Delle principali coltivazioni agricole, invece, stando ai dati del WWF, il 75% necessita dell’intervento degli insetti pronubi (che trasportano polline da un fiore all’altro), soprattutto api, domestiche e selvatiche, ma anche farfalle, mosche, sirfidi, coccinelle, maggiolini, coleotteri e vespe. Percentuali che certificano l’importanza di questi insetti, che svolgono un ruolo essenziale per il mantenimento dell’ecosistema. Il 40% di essi – è l’allarme della FAO, l’organizzazione ONU per l’alimentazione e l’agricoltura – è però a rischio estinzione.

Non tutte le api fanno il miele – Di ape c’è n’è più di una. Quella che conoscono tutti, ossia l’Apis mellifera, è solo una delle oltre ventimila specie presenti sul pianeta. E l’Italia, che è uno dei Paesi con maggior biodiversità di api, ne conta più di mille. «Quelle selvatiche – spiega Marco Alberto Bologna, presidente della Società Entomologica Italiana – sono tantissime e rispetto a quella domestica hanno una socialità più semplice: in generale, non formano grandi nidi e producono una sorta di miele, ma solo per nutrire le loro poche larve ». Inoltre, i vari Apoidei, al di là delle specifiche biologiche e comportamentali, sono anche impollinatori con gusti differenti. «Non tutti visitano gli stessi fiori. Ciascuno ha le proprie preferenze. La diversità florale è quindi fondamentale per la prosperità di questi insetti». Nonostante la funzione cruciale che rivestono, molte specie selvatiche si conoscono davvero poco: nel report della International Union for Conservation of Nature del 2018, si sottolinea la mancanza di dati per il 56,5% di esse.

Le principali minacce – Negli ultimi decenni la popolazione di Apoidei, domestici e non, è diminuita drasticamente. «I fattori di questa riduzione – continua Bologna – sono tanti e sono legati tra di loro. Il primo fra tutti è l’agricoltura intensiva con il massiccio impiego di pesticidi. In secondo luogo abbiamo la distruzione degli habitat naturali, con l’urbanizzazione, l’industrializzazione e le monocolture che, eliminando la biodiversità vegetale, intaccano anche quella entomologica. Poi c’è l’inquinamento dell’aria e il cambiamento climatico, che porta a una irregolarità delle piogge, sconvolgendo gli interi ecosistemi. Infine, per le api domestiche, ci sono anche i predatori alieni: il parassita Varroa, un acaro che sta producendo enormi danni negli alveari, e il calabrone asiatico (Vespa velutina) che preda le mellifere aspettandole vicino alle arnie».

Bisogna intervenire – Di fronte a questa crisi sono necessarie delle misure a tutela degli insetti che preservino la natura senza badare agli interessi dell’uomo. «Siamo troppo ancorati ad una visione antropocentrica – commenta l’entomologo – ad esempio, per sopperire alla carenza di pronubi (impollinatori, ndr), sono state costruite delle biofabbriche in cui vengono allevati dei bombi come se fossero mucche: portati nei campi da impollinare, questi possono entrare in competizione ecologica con gli organismi autoctoni e, una volta terminato il loro compito, vengono lasciati morire, buttando via i loro nidi». Anziché pensare ad astruse soluzioni artificiali, basterebbe fare una pianificazione territoriale. «È ovvio che il problema dell’inquinamento e del cambiamento climatico non si risolve facilmente. Lasciare, però, degli spazi naturali lungo il bordo delle strade e delle coltivazioni intensive senza limitarsi ai parchi/aree protette, non distruggere tutte le pianure e non usare troppi pesticidi, porterebbe già a un miglioramento. Gli insetti, inclusi gli Apoidei, sono sempre meno. E dato che la maggior parte delle piante viene fecondata da quest’ultimi e non dal vento, occorre intervenire per salvare la natura e quindi noi stessi». D’altronde, come scrisse l’imperatore romano Marco Aurelio, “ciò che non giova all’alveare, non giova neppure all’ape”.