Oltre agli spazi di Palazzo Albizzini e degli ex Seccatoi del tabacco, a Città di Castello c’è un’altra perla, che rimane più celata: si tratta della Pinacoteca Comunale, seconda galleria dell’Umbria, ospitata nel cinquecentesco Palazzo Vitelli alla Cannoniera. Fu il tifernate Elia Volpi, pittore e mercante d’arte, ad acquistare questo palazzo e a donarlo al comune, nel 1912. Nonostante fosse stato adibito per secoli a deposito di gramaglie, i bassorilievi sulla facciata esterna e gli affreschi nelle sale interne si sono conservati perfettamente.

Un’eredità pesante – Silvia Consigli è l’attuale guida della Pinacoteca. Ha raccolto l’eredità di Dino Marinelli, storico custode del palazzo che, nei decenni, è diventato una celebrità cittadina. «Dino è fortissimo, fatevi accompagnare in giro da lui», ci sussurra Silvia: ma la Pinacoteca è ormai anche casa sua e ne conosce ogni palmo.
Il patrimonio della Pinacoteca – «Abbiamo un patrimonio più che esaustivo – ci racconta con orgoglio – perché le opere vanno dal Trecento alla seconda metà del Novecento. In particolare le donazioni private hanno permesso
a questo museo di avere tele di Giorgio De Chirico, Mario Mafai e Gerardo Dottori». C’è spazio anche per grandi artisti rinascimentali: presenti diversi quadri del cortonese Luca Signorelli, oltre allo Stendardo della Santissima Trinità di Raffaello.
L’errore di Raffaello – «Nella parte in cui c’è la creazione di Eva, il corpo di Adamo presenta un errore: ha l’ombelico», ci spiega ancora Silvia. Adamo ed Eva, in quanto generati da Dio e non nati, non dovrebbero avere l’ombelico. Un errore scolastico di Raffaello? «Siamo comunque nel Cinquecento, è molto più semplice mettere l’ombelico che spiegarne l’assenza: è un tratto comune ad altri artisti dello stesso periodo».

Lo Stendardo della Santissima Trinità di Raffaello.
La leggenda del buco – Alla Pinacoteca di Città di Castello è legata anche un’inquietante leggenda, risalente al tempo in cui la famiglia Vitelli abitava nel palazzo, nel XVI secolo. Alessandro Vitelli aveva un’amante, la giovane Laura, che viveva in un’ala del palazzo. La ragazza avrebbe attirato giovani spasimanti gettando dei fazzoletti dalle finestre dei suoi appartamenti. I malcapitati, però, morivano nello strapiombo che si apriva sotto le sue finestre e dava direttamente sul Tevere. A Città di Castello si dice che, nelle notti di vento e tempesta, giri ancora per le sale del palazzo ed esca volando dalla finestra, insieme al suo amante.